Recensione su La nave sepolta

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Dispersione di potenziale / 6 Febbraio 2021 in La nave sepolta

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il film Netflix La nave sepolta si basa su un romanzo che, a sua volta, si ispira a fatti realmente accaduti.
Verso la fine degli anni Trenta del Novecento, nell’Inghilterra sud-orientale, viene fatta un’importantissima scoperta archeologica, fondamentale per (ri)scrivere la storia dell’intera isola britannica.

La ricostruzione d’ambiente è eccellente: costumi e scenografie sono accurati, gradevoli alla vista, e la fotografia carezzevole come tweed di Mike Eley ricorda certe scelte estetiche di Malick.
Carey Mulligan e Ralph Fiennes sono ottimi, nei rispettivi ruoli della fragile ma inscalfibile Edith Pretty e dell’addetto agli scavi autodidatta Basil Brown.
Eppure, dopo una prima parte davvero interessante, in cui Fiennes definisce con pochi tratti un personaggio davvero degno d’interesse, il film di Simon Stone inizia a girare a vuoto.
Demerito della comparsa di diversi altri comprimari e di una storia d’amore vanamente infilata a forza nel racconto che nulla aggiunge ma che molto toglie al film.

Non ho letto il romanzo di John Preston adattato per lo schermo dalla pur navigata Moira Buffini, ma la parte di film che quasi tralascia le implicazioni filosofiche (se non quelle storiche) del ritrovamento di Sutton Hoo a favore della liaison oltremodo impalpabile tra il cugino della Pretty (Johnny Flynn) e dell’archeologa Peggy (Lily James) è puro spreco di potenziale.
Basil, in particolare, quasi scompare dal film e il racconto si annacqua, si disperde, e il film si trascina fino al sospirato “the end”.

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