Recensione su La grande bellezza

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La Grande Bellezza / 19 Febbraio 2015 in La grande bellezza

Ok, ci provo anch’io. Lo hanno fatto tutti, del resto. Quindi proverò come tanti altri a dire la mia su questo film. Dico subito che lo ritengo un grandissimo film. Capolavoro? Forse. Se non lo è ci si è avvicinato molto. Toni Servillo strepitoso e irresistibile. Tutti gli altri attori su livelli altissimi di intensità (penso alla Ferilli, che qui ha tirato fuori un’interpretazione che sinceramente non mi aspettavo, a dimostrazione del fatto che in Italia non mancano gli attori ma le storie, gli sceneggiatori e i registi capaci di esaltarne le qualità).
Mi sono avvicinato a questo film prima del clamore suscitato dall’Oscar, molto incuriosito dalle critiche nostrane in occasione della candidatura. Per carità, ognuno la pensi come crede, ma mi ha stupito la ferocia con cui alcuni critici hanno attaccato il film. Ho la sensazione che molti di loro hanno letto il film come uno spietato affresco del decadimento della società italiana. Lo è? Anche. E quanto c’è di vero in questo affresco? Poco, dicono alcuni. Molto, dico io. Certo è che, per ragioni tutte da indagare, a molti ha dato parecchio fastidio. In particolare ad alcuni esponenti politici, che non hanno perso l’occasione di distinguersi per ottusità.
Ancora, è stato detto che il film si regge su una sceneggiatura debole e un uso ruffiano dell’immagine di Roma. Penso invece che la sceneggiatura sia straordinaria, finalmente non banale, perfettamente funzionale alla lenta leggerezza del film. Quanto a Roma, non credo ci sia città più ruffiana: lo è proprio di suo e Sorrentino non fa che approfittarne con grande abilità e perizia.
Altri hanno descritto il film come un pasticciato insieme di spezzoni di una storia di cui non si riesce a cogliere il senso generale. Personalmente odio i film in cui si coglie un qualsivoglia “senso generale”, una finalità precisa, una giustificazione etica da portarci a casa come contropartita del biglietto. Lasciamo fare queste cose agli americani, che sono maestri, e che tuttavia hanno apprezzato molto più di noi questo film, forse proprio perchè vi riconoscono una capacità di raccontare per immagini talune vicende umane apparentemente minime, di scandagliare l’animo umano con piccole ma perfette pennellate, una capacità insomma che per tradizione e cultura, è per loro inarrivabile. Un dialogo come quello in cui Jep Gambardella sputtana l’amica radical-chic non lo troverete mai in un film americano, e comunque non lo troverete mai raccontato con un tale disincanto del protagonista, e sopratutto del regista, che lo butta lì in mezzo al film come una perla, senza enfatizzarne in alcun modo il senso di sunto narrativo del film. Ecco, se dovessi dire cosa mi ha colpito di questo film, è un senso di disincanto al quadrato, quello del protagonista e della varia umanità che gli gravita intorno, elevata alla potenza del disincanto con cui il regista sembra osservare tutto questo; non ci sono giudizi di valore, né morali da trarre, non ci sono vincitori né vinti, ma uno sguardo nitido e tagliente su un inutile e dolente agitarsi, sullo sfondo di una grande, enorme, immensa ma vana bellezza. Sta a noi scegliere cosa mettere a fuoco.

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