Recensione su La grande bellezza

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4 Marzo 2014

Sorrentino ci ha abituato a partenze stilisticamente entusiasmanti e La grande bellezza non fa eccezione: fin dalle prime scene il regista si dà all’accademia, al libero sfogo del suo virtuosismo, dimostrando una grande padronanza e fantasia nel movimento della macchina da presa, nel montaggio, nella combinazione immagine-sonoro.
E fin da subito infatti colpisce il contrasto scelto per la colonna sonora, un efficace mix di sacro e profano, che si rincorre per tutta la pellicola.
L’altalenante ritratto della Roma alto-borghese, decadente e meschina, schizofrenica e autoreferenziale, si trascina tra affascinanti dialoghi nei salotti della high society (che ricordano il Woody Allen serio) e vicende indubbiamente più astruse e faticose da seguire.
Un mix di attoroni e attoruncoli interpretano questi personaggi stanchi e lascivi, ma del resto con un casting tutto italiano non si potevano di certo fare miracoli.
Le passeggiate romane notturne di Gambardella non possono non ricordare quelle (storicamente) più celebri del Servillo-Andreotti de Il divo.
Un film che a tratti infastidisce, come una cancrena che ineluttabilmente divora le carni.
L’Italietta (rectius, la Roma) snob e surreale di Sorrentino è vuota e annoiata, specchio di un declino inarrestabile del Bel Paese.
Eppure La grande bellezza è davvero un gran bel film, forse non un capolavoro, ma davvero un gran bel film.
Se accantoniamo la solita, stupida, retorica italianocentrica (ossia di quando riteniamo bambinescamente di possedere il monopolio della Bellezza), sembra veramente impossibile che un film così possa essere frutto di un intelletto del Bel Paese in un’epoca che non è più, nemmeno cinematograficamente, la nostra età dell’oro.
In fin dei conti, i richiami a Fellini, che tanto mi inquietavano, non sono così inopportuni, tutt’altro.
La grande bellezza è un esercizio di stile quanto alla tecnica, una ventata di ossigeno per il cervello quanto al contenuto.
Uniche pecche il casting, come detto, e poi una certa fatica nell’innestare la marcia dopo i fuochi d’artificio iniziali.
Probabilmente per un non italiano (non emotivamente coinvolto), dev’essere ancora più facile apprezzarlo nella sua genialità e questo è il motivo di tanto successo fuori dai confini nazionali.
Per noi italiani, invece, che tutti i giorni cerchiamo la Grande Bellezza in mezzo al degrado, è come un dolorosissimo ma gioioso parto.

2 commenti

  1. matteop / 5 Marzo 2014

    Concordo in pieno.

  2. hartman / 5 Marzo 2014

    @matteop, certo non si può sostenere che non sia un film che divide…
    oggi è un pò l’argomento del giorno, visto il passaggio in tv e il recente oscar, e il mondo si divide tra:
    1) non l’ho capito;
    2) entusiasti o moderatamente entusiasti;
    3) a chi semplicemnte non piace (e ci può stare);
    4) chi non l’ha capito e cerca di giustificarsi attaccando, in vari modi, quelli di cui al punto 2 (e questo è intellettualmente scorretto)

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