Recensione su La grande bellezza

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28 Giugno 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non sottovalutiamo l’importanza dei nani. Appurato questo, Jep-Sorrentino nel ruolo dello scrittore che non scrive, vorrebbe ma no, troppo impegnato a vivere e osservare quel che lo circonda, dal suo attico vista Colosseo, in una Roma che per la fauna che gira si può dire che sucks. La corte dei miracoli della borghesia, intellettualoide o arricchita, o chierici di varie forme e colori, nobiltà allo sfascio, disgustosa tutta senza distinzione. Feste e tette, un sacco di persone coi gessi (perché avevano tutti quei gessi? :/), party e coca, solo roba che non lascia più nulla. Su tutto quanto galleggia Jep, ma non si emoziona nemmen più, un tran tran noioso e scintillante, da cui non deriva altro che non sia una saggia noia e svogliatezza. I suoi highlights della giornata, figurati, sono quando scherza con la sua filippina o guarda il mare sul soffitto, come a dire “quanto era bella casa mia”, che è un po’ ciò che fanno anche quelli del sud che vanno in città, e ogni cosa te la dicono come a sottintendere “eh invece a casa mia sì che…”; ci sono Verdone e la Ferilli romaneggianti, che porca fanno la loro figura, sia loro sia i personaggi incarnati, soprattutto lei milfissima. E poi c’è Roma. Uhm. Tanta Roma, vuota Roma, levigata e architetturale (?), piazze vuote e palazzi, una gipsoteca immobile, in opposizione alle feste caciarone e al soffoco di chi li percorre. Per certi versi un atto d’amore, ma con la fotografia molto fica, per la città (AmicaP: “fosse stata, chessò, Catania sarebbe stato uguale”), probabilmente meglio assimilabile da chi la città l’abbia un poco vissuta anzichenò. Altrimenti il cuore non c’è, l’impressione è più quella della visita all’acquario che dell’immersione nel mare dei personaggi. Ma empatizzare all’acquario è dura, troppo contrapposti loro e noi, troppo altra quella vita, ridicola, e persino Jep, l’unico a rendersi conto di questa ridicolezza, ridicolo a desiderare una “vita normale”, da poveracci, una sera a letto presto davanti alla tv. Ma muori, e vallo a spiegare ai cassintegrati, per esempio, prima.
Resta nel complesso la critica alla società decadente e ebbra di se stessa, che fa molto Satyricon e Petron-Felliniblabla, resta un film troppo lungo (mezz’ora sul fondo che definire necessaria è improbabile, e poi ‘sta suora? Ma oh? I film coe suore? Ma ahò! Dopo Sister Act nessuno mai. E quella era pure nigga!), resta la fotografia di un momento storico ma, per il resto, resta un patinato prodotto che, al di là dell’immedesimazione con il respiro dell’urbe che personalmente non mi tocca, non porta veramente da nessuna parte. Sì è un trucco. Però lo sapevamo già :/
(e quella gente esiste; ma non lo merita – e si sapeva, pure).

2 commenti

  1. Stefania / 28 Giugno 2013

    Ecco, questa è un’altra cosa che ho notato, ma che, finora, mi era “rimasta dentro” in maniera latente: qui, Sorrentino non dice nulla, ma proprio nulla, che già non sappiamo, non esplora lati inediti (o supposti tali) di una società “segreta”, sconvolgendo o incuriosendo o turbando lo spettatore. Mostra (con indubbia eleganza formale) un vuoto di cui (purtroppo) gran parte del pubblico italiano ha conoscenza per interposto mezzo di comunicazione. Insomma, queste mie (banali) considerazioni a voce alta, non fanno che rafforzare in me l’idea che questo film del buon Paolo non si dimostri, come dire, particolarmente necessario, né alla sua filmografia, né al “patrimonio cinematografico” del pubblico.

  2. tragicomix / 29 Giugno 2013

    @stefania “non necessario” mi sembra riassuma bene 🙂 finisce per essere un esercizio di stile (e comunque avercene), ben eseguito ma più in là non si va

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