Recensione su La fuga di Martha

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Martha Marcy May Marlene / 16 Giugno 2012 in La fuga di Martha

La distruzione dell’essere, la perdità di identità, la lontanzanza da se stessi. Sono questi i temi principali di Martha Marcy May Marlene, interessante opera prima di Sean Durkin. Con un vai e vieni da thriller psicologico, il film si muove nell’anima e nella mente della protagonista, una Elizabeth Olsen(sicuramente la più talentuosa delle famose sorelle) superba e dannata, tra flashback e visioni proprio ‘dall’interno’ della donna. Il film si apre con la stessa protagonista che comincia una corsa disperata in un bosco e successivamente chiama la sorella al telefono, per ritornare a casa. Si scoprirà che Martha, il nome della donna, è sparita per due anni senza lasciare traccia e ora ripiomba nella vita della sorella Lucy e di suo marito, scatenando il malumore di quest’ultimo. Ma dov’è stata Martha in questi anni? E’ quello che si chiedono i due coniugi che la ospitano, senza mai ottenere risposta da lei. Ma , grazie ai flashback lo spetattore scopre che la donna si era unita ad una comunità, chiamata famiglia, che piano piano l’ha portata alla progressiva distruzione. Per prima cosa, le ha cambiato il nome, da Martha a Marcy May, così come per troncare dalla radice i rapporti con il passato. Successivamente le montano il cervello con una serie di ideali purificatori da pura setta religiosa, compreso naturalmente l’uso del proprio corpo, offerto per la purificazione, ai componenti maschili del gruppo. La vita di Martha, anche con la sorella, va sempre peggio, poichè lei proietta i ricordi della sua vita precedenta in quella reale, e quindi viene scambiata per pazza, riducendo anche la vita dei coniugi abbastanza male. Martha Marcy May Marlene, un indie miracolosamente arrivato in Italia, è un film disturbante e letale, per un pubblico convinto ancora che le comunità siano meccanismi utili, specie se fondati su stronzate pseudo-religiose oppure banalità sociali. Lo schermo ci porta fin dentro Martha, o Marcy May, oppure tutte e due, e dentro la sua distruzione. La donna ha perso l’identità, non è più se stessa e nemmeno la vicinanza della sorella serve a qualcosa. Il rapporto tra le due è sempre ai margini della conoscenza, non sembrano affatto parenti, anzi. E ciò esplode anche nel dialogo finale, con Martha che urla ‘non è che perchè siamo sorelle, dobbiamo parlare di qualunque cosa ti passa per la testa’. Ancora più conflittuale il rapporto di Martha con il cognato, che nonostante la ospiti, la cibi e la mantenga, non la apprezza e soprattutto ce l’ha con lei per il dolore e la preoccupazione fatta passare alla moglie durante i suoi due anni di assenza. Cinematograficamente ricco di interessanti spunti, il film di Durkin è un impegnativo viaggio discendente nella storia di una donna qualunque, che ha scelto di fare un’esperienza senza sapere bene a cosa andava incontro, e che non si è più ripresa da ciò. Interessante, tra le tante cose che la permanenza nella comunità ha tolto a Martha, è il senso del pudore. Infatti, a causa di tutti gli stupri subiti o fatti subire, lei crede sia normale fare il bagno nuda, davanti a tutti. Con lo stesso meccanismo, quasi del ‘contrappasso’, lei usa la violenza. Il finale resta aperto, con Martha che viene portata da uno specialista per cercare di essere curata. In un’atmosfera cupa e asfissiante, si svolge tutto il dramma (dis)umano di Martha Marcy May Marlene, un film stranamente coinvolgente, che sconvolge senza allontare dal senso comune di tutta la storia. L’interpretazione della Olsen è movimentata e intensa, ma anche le parti dei personaggi di contorno sono decisamente interessanti, specie quelle dei personaggi che prendono vita nei ricordi di Martha e che la portano a fare determinate cose che lei non vorrebbe. Per concludere è difficile valutare un film come questo: naturalmente il valore dell’opera e la bellezza cinematografica di esso, lo rende certamente buono, addirittura nei pressi dell’ottima opera. Ma forse, se si fosse spinto più in là, addirittura più in là di come si è spinto, si starebbe qui a parlare di capolavoro indie, che oltre a fare impazzire il Sundance, farebbe impazzire anche le platee europee e non. Ma manca qualcosa, manca sempre qualcosa ai film così. Ma alla fin fine, ci si può passare sopra. E si può anche passar sopra alla vicenda, senza prendersi troppi pensieri per questo. A patto che non si faccia, però, finta di niente.

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