Paludi definitive / 19 Gennaio 2014 in La folie Almayer

Una casa nuova ma già fatiscente, una figlia tanto amata, Nina, che lo disprezza con tutto il cuore, un fiume placido ma capace di brutale e inusitata violenza. Questa le coordinate della vita di Almayer, i segni visibili del suo fallimento. Dove era finito il suo sogno di ricchezza e di potere, quella illusione che gli aveva reso sopportabili anni e anni di amarezze, di rimpianti, di frustrazioni? Dove era finita la ricchezza che aveva sempre sentito a portata di mano, ma che ogni volta gli sfuggiva via quasi fosse trascinata dalla corrente fangosa e tumultuosa del grande fiume? Sì, la vita di Almayer è stata un vero doloroso fallimento che neanche la presenza di Nina, seduta adesso accanto a lui, riesce ad alleviare.

Questo film, proprio come il povero Almayer, ha qualcosa che non va. Sfugge, cerca la chiarezza ma finisce per trovare le tenebre; molti sono i particolari importanti tralasciati, tante le lungaggini che infastidiscono. Non si capisce bene, ad esempio, cosa trattenga Almayer nella sua capanna sul fiume dopo la morte del suo “mecenate”.
Nonostante tutto, però, è pur sempre un film che affascina, soprattutto per le bellissime immagini di una natura quasi incontaminata, ostile; una natura che sembra ignara del male, ma che probabilmente è il male stesso, la Wilderness innanzi alla quale l’uomo non può che inchinarsi e smarrirsi come istupidito da cotanta sconvolgente potenza.
In fondo, è lo scenario consueto dei romanzi di Conrad (e di tutti i film tratti dai suoi libri), uno scenario in cui i suoi personaggi si muovono come marionette impazzite. Si agitano in modo convulso, improvvisando un balletto senza senso, come un vorticare di foglie al vento.
qui la “colonna sonora”.

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