Recensione su La donna scimmia

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I primati della cultura / 21 Dicembre 2016 in La donna scimmia

La madre Africa, simbolo primigenio di natura e libertà, ricostruita in un teatro raffazzonato, cadente, fatiscente. È questa l’immagine chiave de La Donna Scimmia.
Un film che mostra il contrasto tra natura e cultura e di come quest’ultima, nelle mani di profittatori, sfrutti la natura, in un continuo ping pong fra elite e popolo, per perpetrare le proprie storture, non solo attraverso riti tribali e pratiche superstiziose, ma anche attraverso messinscene fintamente alte e progressiste. Il punto di raccordo tra natura e cultura, allora, non può essere altro che una donna con le sembianze di una scimmia. Una donna scimmia costantemente in bilico tra l’essere ritenuta da alcuni “Santa” e da altri “Fenomeno”. In entrambi i casi, però, il risultato è lo stesso: le persone hanno bisogno di domare l’inusuale, renderlo innocuo, trasformandolo in attrazione voyeuristica o cavia per la propria libido. E se anche l’amore non può far altro che rispondere a logiche egoistiche, allora, lo spazio di manovra, per emanciparsi dallo stretto giogo di tutto ciò che riconduca al profitto, diventa risibile. Forse, solo la morte potrebbe interrempore questo circolo vizioso, ma, probabilmente, neanche a lei riesce uno sforzo tanto grosso.

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