15 Luglio 2014 in Dieci incredibili giorni

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Mitologia, Antico Testamento e Freud: in questo film di Chabrol (ispirato ad un romanzo di Ellery Queen), la componente squisitamente “gialla” cede il passo ad un dramma psicanalitico dai risvolti particolarmente morbosi.

Theo Van Horn (Welles) è un ricco Zeus che, pur diffidandone, sembra proteggere ad oltranza il figlio Charles-Ares (Perkins) e che, nel contempo, agisce da padre-marito nei confronti della delicata moglie-ninfa Hélene (la Jobert), in un cortocircuito di conflitti edipici ed elettrici.
La sua fissazione personale per l’anno 1925 a cui il resto della famiglia, la servitù e gli ospiti devono sottostare corrisponde al suo desiderio di controllare il tempo e gli elementi, follia consapevole che, isterismi a parte, sembra essere la stessa della spaventosa madre decrepita, nascosta negli angoli bui della casa, tanto simile alla povera Bertha del Jane Eyre brontiano, incapace di collocare sé stessa e gli eventi che le accadono intorno in un preciso contesto fisico e temporale.

Insieme agli abiti anacronistici, la grande villa che fa da cornice alla vicenda è connotata da un certo arredo barocchetto, manierato, decadente più che romantico (vogliamo parlare del baldacchino con le stoffe a quadri bianchi e rossi?), nonostante l’evidente opulenza e ricchezza del proprietario, che suscita disagio più che godimento estetico: l’abbandono in cui versa il giardino alla francese mostrato nelle sequenze finali è la più logica tra le sue possibili evoluzioni, poiché la sua artificiosità nulla può contro il crollo del dio che la amministra.

La presenza del personaggio di Michel Piccoli è una soluzione prettamente letteraria (non è neppure un caso, quindi, che il suo ruolo sia quello di uno scrittore, a sua volta deus ex machina, come Van Horn), utile a spezzare un’impasse (mettere a parte di un segreto inconfessabile una terza persona) e a “didascalizzare” gli eventi: il suo occhio è quello dello spettatore, insieme ad esso viene gradualmente a conoscenza dei curiosi intrecci della famiglia Van Horn, grazie a lui ogni meccanismo viene svelato.
Nel complesso, un mistery sui generis godibile, ben interpretato e ben diretto, che pecca, forse, nella fotografia decisamente datata.

Nota personale: non ho compreso a chi appartiene il sangue che Charles trova sulle sue mani, al risveglio nell’hotel parigino, nelle prime sequenze del film. Non è un dettaglio influente ai fini del resto del racconto, però…

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