4 Recensioni su

La quinta stagione

/ 20127.349 voti

Sparklehorse / 10 Novembre 2014 in La quinta stagione

“I shut my eyes and killed the cock when the sun came knocking”.
Questo film mi ha fatto pensare agli Sparklehorse di Mark Linkous, musicista intimissimo suicidatosi nel 2011. I suoi testi erano popolati da immagini legate alla natura e agli animali. Le sue parole erano sussurri di una delicatezza unica.
La quinta stagione è un film freddo, che dipinge una natura gelida e distante.
Una natura capace di ribellarsi alle sue stesse leggi.
Eppure tutto è così poetico e indolore.
Delicato, come i testi di Mark Linkous.
Un’apocalisse morbida.
“I shut my eyes and killed the cock when the sun came knocking”…no, non penso che il sole arriverà…

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Il

E tutto si fermò / 2 Gennaio 2014 in La quinta stagione

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Quando la natura decide di farsi beffe di tutto e di tutti (anche di se stessa), gli abitanti di un piccolo villaggio rurale che vivono di essa, vengono sconvolti al punto da abbandonare anche loro, qualsiasi comportamento naturale. Un film raro con una fotografia eccezionale, dove tutto è fermo (anche la mdp). Questa perenne immobilità, forse appesantisce troppo un film già statico di suo e che peggio, di questa staticità sembra compiacersene; sarebbe stato utile, probabilmente, contrapporre un contrasto più forte (magari l’amore dei due giovani), più vivo e vivace al grigiore che porterà all’irreparabile che attende, vigliaccamente, dietro una maschera, dentro il branco. Al di là di questo relativo e personale “inconveniente” il film rimane pregno di tematiche profonde sparse nelle numerose chiavi di lettura; numerosi anche gli omaggi agli artisti conterranei (Bruegel su tutti). Terzo e ultimo capitolo di una trilogia (Khadak, Altipiano), il film per me è un capolavoro mancato che merita assolutamente di essere visto.

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Il cavallo fuori stagione / 29 Luglio 2013 in La quinta stagione

“Iniziò tutto in una remota landa ai confini del mondo. I tarli si zittirono improvvisamente, Smisero di nutrirsi, rinunciarono a vivere, preferendo il silenzio della morte. Poi anche il cavallo rifiutò il cibo. Qui da noi l’epidemia si è sbizzarrita: l’inverno rifiuta di andarsene. I rami degli alberi cominciano a cadere esausti, le galline stramazzano al suolo col collo storto, i galli si rifiutano di cantare perché sanno già che gli uomini indosseranno la maschera della meschinità; il loro cuore si essiccherà proprio come la terra che fino a quel momento hanno coltivato e che ora si rifiuta di germogliare. I bambini diventano violacei mentre giocano e cadono addormentati come se avessero preso un sonnifero. Alcuni non si sveglieranno più. Chi può, come gli imenotteri, fugge lontano e non tornerà. Tutto è stravolto, niente sarà come prima. Il benessere accumulato negli anni scomparirà al primo schiocco di dita, il soffio del vento tacerà per sempre e i bisbigli si trasformeranno in grida.”
Un film immenso, inaspettato rispetto ai, pur ottimi, Khadak e Altiplano. Le scene iniziali possono prendere in contropiede, può sembrare un film per schizzati (gustoso ugualmente, certo, ma allora avrebbe richiesto un altro tipo di attenzione), invece è riflessivo, pacato e, contemporaneamente, denso di attese trepidanti, disillusioni, inquietudini (la scena dove la ragazza sull’altalena perde sangue dal naso è degna del miglior film horror).
qui la “colonna sonora”.

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11 Luglio 2013 in La quinta stagione

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Belga, è un film belga! Ed è encroyable e depresso come non mai *_* ah, la cinematografia belga, ah, i rami secchi delle inquietanti foreste belghe, ah, il piattume belga, ah. L’ingenuità, tristezza, angoscia di vivere che sono palesemente un carattere nazionale. Nom d’un chien! Ma accantoniamo per un attimo la personale passione mia per la Belgica. CHE GRANDE PAESE!!! Ah no, scusa. Ogni tanto mi sfugge.
Du calme.
In un paesino rurale BELGA!! (ops) sta per finire l’inverno, e tutti si preparano per la celebrazione rituale (–> molto alle The wicked man) che si compie ogni anno. Ma la pira non si accende, e l’inverno, holy shit, non si spegne; e il gallo non canta più, le mucche smettono di produrre latte e i semi piantati non germogliano. P-p-p-anico. Per fare un film malato servono dei ragazzetti, ormai s’è capito, con nessuno come coi ragazzetti si può far risaltare il contrasto tra il degrado, fisico e/o morale, e la loro intrinseca purezza. Il gioco fondamentalmente è vedere quanto si contamineranno i ragazzetti (tutti i film malati ultimamente avevano i ragazzetti, namely Nella casa e Confessions; ormai è un genere a sè).
Alice e Thomas sono i figli di due delle famiglie della comunità. Inizio con danze di paese, bellissime *_* serenità. Ma non è che un inganno, perché sta per iniziare un precipizio verso il cupo. E non è la terra, ma gli uomini, a stare percossi e attoniti, di fronte all’innaturale calamità del fermarsi delle stagioni. La natura si rifiuta di giocare ancora.
L’esercito requisisce ogni cosa, c’è la venatura di apocalissi globale ma tenuta fuori scena, si lascia intendere che dovunque tutto sta morendo, ma noi restiamo a guardare nel paesino, mentre inquietanti jet solcano il cielo, calabroni che ronzano senza poteri porre rimedio (low budget, “l’esercito” sono in tre).
I ragazzi son gli unici a resistere, insieme a un filosofo nomade, apicoltore e con figlio su sedia a rotelle. Che viene individuato dalla comunità come capro espiatorio, la causa di tutto, come obiettivo della rabbia disperata per qualcosa di cui non si trova razionale spiegazione. Caccia alle streghe, medioevo e piaghe d’Egitto, tutto insieme! E lo bruciano nella sua roulotte, sì ca**o, in una ripetizione della cerimonia pagana iniziale, non siamo riusciti a bruciare l’inverno → bruciamo qualcuno, già che ci siamo bruciamo il diverso/estraneo; e il gallo viene sgozzato e la ragazzetta finisce a tossire e prostituirsi nel fienile per un tozzo di sale, e la fine non c’è, o meglio, c’è ma è l’estinzione ventura di tutto e della natura malata e di noi altrettanto.
Facilitata dalla campagna belga, la fotografia indugia tra rami secchi e alberi che crollano esausti, e nel frattempo si scolora, insieme alla trama, i visi, le emozioni, tutto perde vita e regredisce per tornare a uno stadio animale e poi vegetale e poi morto. Tonnerres O_O
Più belga di una birra, happiness!

Tra l’altro vorrei farti notare che il nome dell’attore che interpreta Thomas è Django.

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