16 Dicembre 2013 in Kûki ningyô

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Quando dici in giro che sei andato al cinema a vedere un film su una bambola gonfiabile la gente ti ride un po’ in faccia. Ma pazienza.
C’è questo tipo disperato e solo, prototipico sfigatissimo metropolitano, che vive con la sua bambola gonfiabile, Nozomi. E mica solo ci scopa e risciacqua la vago-plastica U_U no no, ci parla, mangia, la tratta come una persona. E pian piano, con degli effetti speciali un po’ da due soldi che ritornano nel corso dei momenti kind of “magici” del film, Nozomi diventa viva; ossia, di notte è una air doll, di giorno quello esce a lavorare e lei pure esce alla scoperta del mondo. Poi si innamora di un commesso di una videoteca dove trova lavoro (nessuno trova lavoro e lo trova una gonfiabile bambola? Ma deh?), tanto per fare un po’ di metacinema, e lei è gnocca e se la vogliono fare tutti e ha questa gonna corta e a me le coreane gnam.
Ma non c’entra, perché d’altro canto la storia, quella del foglio bianco e non scritto alla scoperta del mondo (o di Pinocchio, whatever), è sfilacciata e tortuosa, come i nessi logici, che la sorreggono. Nel suo esplorare Nozomi sfiora tante solitudini, in un paesaggio non meglio identificato e metropolitano, che si immagina rappresentino varie forme delle difficoltà di essere umani. Il sesso, onnipresente fuori e dentro la cultura giapponese, è una pulsione che non la tocca, mentre sembra regolare i comportamenti di gran parte dei personaggi maschili/negativi che incontra – sono, siamo tutti esecrabili? Si pendola tra ermetismi irrisolti (che cosa avrà voluto dire) e troppo spesso una eccessiva noia, prima di arrivare allo stappo cruento finale (proverà a sgonfiare il suo innamorato, con un paio di forbici, con le conseguenze immaginabili); il riflessivo lirismo orientale docg, che pure c’è qua e là, ne risulta diluito e disperso come l’aria che le esce dall’ombelico.

Leggi tutto