Un film “manifesto” attualissimo / 21 Gennaio 2023 in Kong bu fen zi

Una Taipei degli anni ’80, dove coesistono grattacieli e degrado, dove affarismo aziendale e microcriminalità rappresentano due facce della stessa medaglia, fa da scenario alle vicende di alcuni personaggi della piccola borghesia. Tutti conducono una vita priva di sussulti, tutti sono scontenti e aspirano a qualcosa di diverso, a qualcosa di più. Una scrittrice ha lasciato il vecchio impiego stabile, ma procede con difficoltà nella stesura del suo romanzo. Suo marito mira a dirigere il reparto della clinica dove lavora, a costo di screditare i colleghi e di trascurare la moglie. Una giovane teppista passa parte della giornata a fare scherzi telefonici, mentre la sera si finge una prostituta per raggirare e derubare i clienti. Un ragazzo è annoiato dalla sua fidanzata appassionata di libri e preferisce andare in strada a fare fotografie.
Assieme allo sceneggiatore Hsiao Yeh, Edward Yang, maestro e capofila del nuovo cinema taiwanese, allestisce un’opera complessa e stratificata, in anticipo sui tempi, utilizzando le cifre tematiche e linguistiche della postmodernità e aprendo strade che saranno percorse regolarmente tanto in Oriente quanto in Occidente; lo fa con più sistematicità rispetto al precedente Taipei Story (1985) e al successivo A Brighter Summer Day (1991), col quale realizzerà il suo personale C’era una volta in America, con gli stessi toni nostalgici, malinconici e amari. Solitudine, ambizione, disumanizzazione, violenza, sono le note che pervadono anche questa pellicola. I nuovi modelli sociali, basati sulla competizione e sulla ricerca del benessere, indeboliscono le relazioni e i valori condivisi, generando smarrimento e paura.
Il film esce nel 1986. Siamo in un periodo in cui la postmodernità sta già naufragando nell’intrattenimento, cedendo ai richiami della comunicazione di massa e del mercato. Qui invece riesce a mostrare il suo potenziale creativo, portando un rinnovamento delle forme stilistiche e narrative, assembla generi differenti, si coniuga all’autorialità, registra i cambiamenti in atto nella società, non si limita al recupero e alla citazione, seppur presenti.
Decisamente contemporanea è la struttura narrativa frammentata, in cui storie autonome si toccano e si influenzano, ma anche i contenuti di un romanzo e di un sogno si mescolano agli accadimenti, generando tensione e sorpresa, minando la linearità, destabilizzando la leggibilità. Contemporanei sono i temi esistenziali, che declinano la terna individuo-famiglia-società, in una progressiva disgregazione che procede dall’esterno verso il singolo, fino a condizionarne la psiche e i comportamenti.
La cura e l’essenzialità della costruzione visiva ribadiscono la distanza tra cinema industriale e cinema autoriale, nonché tra cinema occidentale e orientale. Sebbene una parte di scene riproponga quell’illuminazione uniforme e scialba, di derivazione televisiva, tipica della cinematografia anni ’80, non mancano luci differenziate, ombre e buio, dominanti monocromatiche. Lo spazio-tempo filmico privilegia la dilatazione temporale e la stasi, per focalizzare l’attenzione sui dettagli, anche nelle sequenze di azione e di maggiore impatto drammatico. Geometrie e tessiture, oggetti d’arredo e tecnologici, come gli apparecchi fotografici e telefonici, vetri e specchi, libri, acquistano così un particolare rilievo. Come oggetti tra gli oggetti, i personaggi vengono inquadrati quasi sempre singolarmente. Gli interni appaiono misurati e ordinati ma si rivelano bugiardi, poiché nascondono il disordine esistenziale. Le finestre possono essere aperte per sottolineare il legame tra individuo e società; possono essere infrante per ricordare l’aggressività del contesto o la fragilità delle relazioni; possono essere oscurate per negare il rapporto con l’altro.

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