Recensione su Klaus: I segreti del Natale

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Buon film europeo di animazione / 20 Novembre 2019 in Klaus: I segreti del Natale

(Sette stelline e mezza)

Il regista e sceneggiatore di Klaus, film di animazione Netflix di produzione spagnola, è Sergio Pablos, un animatore madrileno che, nel corso degli anni Novanta e Duemila, si è fatto le ossa alla Disney e alla Dreamworks, lavorando come character designer a lungometraggi come Il gobbo di Notre Dame, Tarzan, Il pianeta del tesoro, Rio e la trilogia di Cattivissimo me, di cui è anche creatore. Per la sua casa di produzione, gli SPA Studios, ha diretto il suo primo lungometraggio, riversando in questo lavoro tutta l’esperienza, la maturità e, perché no?, la malizia acquisita negli anni trascorsi al lavoro con i colossi dell’entertainment animato mondiale.

Klaus è un gradevolissimo film animato prevalentemente in 2D con inserti quasi impercettibili in computer graphic che, con una buona commistione di elementi tradizionali ed estemporanei, riscrive le origini di Babbo Natale (spogliandole di ogni accenno religioso o esplicitamente etnografico, se si esclude la colorata presenza dei sami finlandesi) e si candida a diventare un classico dell’animazione per famiglie, con una carica visiva e una potenza narrativa che, personalmente, non percepivo dai tempi dei classici Disney pre-CG.

La storia fila, ha un ottimo ritmo, è prevedibile ma non particolarmente stucchevole, appassiona e diverte per le sue trovate divertenti, citazionistiche (perfette per il pubblico più adulto), ma comunque originali.
Tra quelle ricorrenti che mi hanno divertito di più, benché non sia particolarmente eclatante, c’è la bambina pallida e dall’aria macabra che, con sguardo catatonico, infila lentamente le carote nei pupazzi di neve come un killer sadico farebbe con una lama nel corpo di una vittima, prima ad altezza bacino, poi, con lo spirito klausiano ormai diffuso nel villaggio, nel punto giusto, nel testolone, ma sempre con la stessa espressione inquietante stampata in faccia.

I personaggi sono ben caratterizzati, sia dal punto di vista narrativo che grafico, con una stilizzazione ipertrofica ma efficace, compiuta, coerente, funzionale. Insomma, c’è taaaaanto mestiere messo a frutto, in questo curatissimo lungometraggio.
Buono anche il lavoro di doppiaggio italiano: tra l’altro, mi pare che Marco Mengoni (Jesper) sia notevolmente migliorato dai tempi di Lorax. Brava anche Ambra Angiolini (Alva, il personaggio che, esteticamente, mi ha convinto meno). Poi, ci sono dei super esperti come Pannofino (Klaus) e Carla Signoris (Mrs. Krum, che, piacevolmente, mi ha ricordato per molti motivi la Yzma de Le follie dell’imperatore doppiata, all’epoca, da Anna Marchesini). Ma, in particolare, ho apprezzato il doppiaggio dei bambini, affidato a bimbi veri, pure molto bravi, e, per fortuna, non ad adulti impegnati a scimmiottare dei ragazzini, come spesso accade con risultati non convincenti non solo nelle produzioni televisive (vedi Vanellope nei film Disney di Ralph Spaccatutto).

Di mezzo, ci saranno anche i dollari di Netflix, ma sono contenta che un film di tale qualità sia stato realizzato essenzialmente da un team europeo, sia pure di formazione oltreoceanica. Nel gigantesco reparto tecnico, figurano anche diversi nomi italiani. Tra tutti, cito quello di Nicola Sammarco, un giovane ragazzo tarantino che seguo da tempo sui social e di cui ammiro la mano felicissima, ispirata dal maestro Glen Keane.

Secondo me, Klaus segna un importante capitolo nella storia del cinema di animazione contemporaneo e, ai miei occhi, riabilita l’animazione spagnola dopo il tentato kolossal El Cid (2003) di José Pozo.
Non so quanto seguito avrà: il 2D è “fuori moda” (ma non ditelo ai giapponesi che, per fortuna, lo usano ancora), richiede investimenti e impegno notevoli, ma, come in questo caso, conferisce elementi qualitativi indiscutibili a un film. Con sicurezza e pur con le debite differenze di contenuti, stili e filosofie, metto il lavoro di Pablos accanto ad altri ottimi lavori europei in tecnica mista degli ultimi anni, come The Secret Of Kells di Tomm Moore, The Breadwinner di Nora Twomey, Ernest e Celestine di Renner/Patar/Stéphane Aubier, alcuni lavori di Ocelot, L’illusionista di Sylvain Chomet.

1 commento

  1. forseclaudio / 15 Dicembre 2019

    Bravissima Stefania, leggerti è sempre un piacere

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