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Il regno d'inverno

/ 20147.550 voti

4 Novembre 2014 in Il regno d'inverno

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La Cappadocia è uno di quei luoghi senza luogo dove Paperone andava sempre su robot strani a cercare tesori di talleri nelle storie di Topolino di anni fa. Ma esiste veramente! Pazzesco. E sta in Turchia (tu lo sapevi? :/ potevi dirmelo), ed è un luogo altrettanto pazzesco e impervio e selvaggio, con dei cavalli che scorrazzano liberi in paesaggi di niente e colline e alberghi per turisti riccastri incastonati nella roccia. Aydin è il proprietario di un albergo così, e di un sacco di altre cose che possiede e sfrutta con l’annoiato disinteresse di chi è abituato ad avere. Vorrebbe sinceramente fare del bene alla comunità, ma non gli importa degli sfratti ai suoi affittuari, che comunque delega ad altri. In questo albergo, dove passano giapponesi un po’ scemi, americani e un motociclista idiota per cui la vita è un viaggio e tutte quelle caz**te lì new easy rider hipster age, che puoi fare solo se hai una barca di soldi, vive con la moglie, assai più giovane di lui, Nihal, e la sorella divorziata, di cui non ricordo il nome e che chiameremo Bruttah. Cozzah? Sono indeciso. Il regista realizza una curiosa alternanza di esterni sterminati e silenti, dove un sempiterno vento soffia, e interni teatrali e in tutti i sensi metateatrali (gli argomenti, le citazioni ecc), con la stufa che borbotta e si beve tè per tre ore, perfino a me era venuta voglia di un tè a furia di vedere questi bere tè. Il quadro del paesaggio è una cornice di una bellezza mozzafiatante (così, mi andava di scriverlo), quasi onirica agli occhi di chi non abita quei luoghi, che cancella le differenze degli uomini. Differenze ristabilite dalla cultura e linguaggio: come l’albergo è un’oasi calda nel gelo circostante, così i nostri personaggi, gente che fa discorsi di etica a colazione, sono un’oasi intellettuale nella miseria del luogo. Ma non è questa che la patina a ricoprire rapporti e dinamiche di rottura sopiti dal quotidiano ma latenti e in vasi in attesa di goccia. Tutto questo passa attraverso jalissiano un fiume di parole (ah. Ah!), inebriante quasi e giralatesta, dove nelle pause ognuno è costretto a riconsiderare cosa ha scoperto di sé e dell’altro dall’ultimo bisticcio. La durata non è un problema, alcuni inciampi sì – il cavallo liberato -_- che diamine, una delle metafore più grossolane (e abusate, comunque) del mondo. O della Cappadocia, sicuramente!
Fuori fa freddo e c’è vento.

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un piccolo regno molto infelice / 25 Ottobre 2014 in Il regno d'inverno

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Forse mi è piaciuto così tanto perchè ho trovato un po’ di me stessa in ogni discussione che il signor Aydin aveva con le persone che vivevano con lui, che frustrazione.)
mi sono piaciuti:
– le riprese fantastiche (parlo da profana, ma farmi vedere un paesaggio bellissimo è come invitare un’oca a bere, rimango subito incantata. E i posti in cui è girato il film sono senza dubbio una meraviglia.)
– il tono che sono riusciti a mantenere in ogni dialogo.
Pur essendo “battibecchi” di cui si può dare un giudizio solo parziale, se ci si considera una terza persona seduta ad ascoltare, la mia attenzione è rimasta viva fino alla fine. Il modo in cui i personaggi si rispondevano mi stupiva sempre di più; un mio “brutto” vizio è sempre quello di provare a immaginare le risposte a un dibattito e qua, forse per la cultura diversa, venivo stupita ogni volta.
– ipocrisia: penso che sia un tema fondamentale dietro al quale giri tutto il film. I tre famigliari vengono più e meno identificati con caratteristiche, che vengono subito smentite: (Nihal, chiamata da suo marito per sentire la sua opinione in merito alla lettera nel suo ufficio, in quanto donna di carità, non si scompone minimamente a una richiesta d’aiuto, e lo stesso Aydin che passa giornate a scrivere sermoni sulla religione, la giustizia, il giusto comportarsi non spreca due secondi della sua vita per mettere in pratica le sue parole e non dedica due minuti della sua sua vita, ai poveri affittuari, anzi continua a dimenticarsi di loro con noncuranza, e Necia che si strugge in fantasie di problemi e morale inesistente, di andare in contro all’altro punzecchia ogni sera il fratello con cattiverie mal celate.)

Non mi è piaciuto: (sono inezie)
– a un certo punto del battibecco con il fratello Necia usa una parola per descrivere un comportamento del fratello “naif”, ovvero ingenuo. Personalmente ho trovato che la scelta di questo vocabolo stridesse fortemente con il contesto. In italiano esiste la parola “ingenuo” e credo, forse sbagliando, che chiunque userebbe piuttosto la versione italiana che la parola inglese, che forse suonerebbe un po’ snob e altisonante. Ma è appunto solo una mia opinione.
– (sulla stessa onda) hanno tradotto in modo diverso il momento in cui Aidyn parla del suo regno che “per quanto piccolo è suo” (trailer) che nel film diventa “per quanto piccolo lui ne è re”, il concetto è ovviamente lo stesso e so che traducendo si perdono ovviamente dei significati dall’originale, ma queste due scelte mi hanno incuriosito 🙂

Oltre ai miei inutili sproloqui, consiglio caldamente il film, è interessante, tiene viva l’attenzione, la scelta delle musiche mi è piaciuta molto e la durata non è (stata, almeno per me) affatto uno scoglio.
Buona visione!

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