Recensione su Re per una notte

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30 Maggio 2013

Il connubio De Niro – Scorsese ha prodotto molti grandissimi film.
Tra di essi, Re per una notte é sicuramente uno dei film “minori”, ma é comunque sorprendentemente originale. Certo, grosso merito é del soggetto e della sceneggiatura di Paul D. Zimmerman, ma anche dell’interpretazione splendida del De Niro dei tempi migliori (ossia quello del decennio d’oro 1973-1984, in cui il mitico Bob mise in fila, uno dopo l’altro, una serie di interpretazioni capolavoro in film rimasti indimenticabili: Mean Streets, Il padrino – Parte II, Taxi Driver, Novecento, New York, New York, Il cacciatore, Toro scatenato, C’era una volta in America e appunto Re per una notte).
Scorsese non é ai livelli di Mean Streets o di Taxi Driver, e il suo caratteristico stile si fa notare solo nella parte iniziale, dove peraltro riesce così a supplire ad un intreccio che ci mette un pò a decollare, ma che quando lo fa esplode dirompente in un climax emozionale assai riuscito.
Re per una notte esaspera la tesi warholiana del quarto d’ora di celebritá, ed é in un certo qual modo profetico e premonitore di una societá che di lì a qualche decennio si sarebbe trovata in casa tanti piccoli Rupert Pupkin, con episodi similmente dettati dal maniacale desiderio di celebritá, ma non analogamente dotati di lieto fine, bensì criminosi tout-court.
Il finale, volutamente farsesco, ridicolizza lo show-biz e i meccanismi che portano al successo.
Se un redivivo Machiavelli avesse scritto un trattato sulla tv, probabilmente avrebbe scritto il soggetto di Re per una notte.

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