Della regalità ai tempi di Facebook / 1 Agosto 2017 in King Charles III

Concept in astratto. Un neo-re rifiuta di ratificare, nel pieno rispetto delle proprie prerogative, una legge approvata sì dal parlamento ma che pone un grave problema di coscienza dato che il provvedimento in questione si trova a minare uno dei princìpi fondamentali di uno Stato: la libertà di stampa. Il braccio di ferro corona-governo si spinge fino all’estremo, con il sovrano intenzionato a difendere il proprio ruolo di custode delle libertà del regno e il mondo politico-mediatico più interessato per convenienze convergenti ad avere un muto monarca-passacarte indipendentemente dal merito della questione.
La pellicola, tra diversi difetti e prevedibili ovvietà, offre un interessantissimo spunto di riflessione. Quanto può un capo di Stato assolvere liberamente alle proprie funzioni in un mondo in cui l’indice di gradimento conta più delle regole e dei ruoli? Quanto spazio di manovra ha una figura di garanzia, formalmente deputata proprio ad evitare pericolose derive da parte dei governanti, quando la controparte agita il feticcio della “volontà popolare” (come sempre utilizzato a proprio uso e consumo, come copertura, quando più necessario) opponendolo ad un potere additato come antiquato e privilegiato e facendo leva sull’invidia sociale dilagante tra una popolazione facilmente influenzabile? Quanto un capo di Stato è soggetto più ai sondaggi che alla Costituzione e alla coscienza? Gli interrogativi non sono banali. E basta guardare un po’ alla storia del nostro Paese (si parva licet) per rendersi conto che a parole si pretende che un re, un presidente, in virtù della propria coscienza e del proprio ruolo di garanzia non ratifichi ciò che pur palesemente sbagliato, deleterio, orribile, illecito, incostituzionale, il Parlamento “eletto dal popolo” ha approvato, e anzi ci si indigna di quel silenzio giudicando ipocrita il non voler contrastare il Parlamento e il non voler essere impopolare…ma quando ciò dovesse accadere veramente, saremmo davvero pronti ad accettarlo? Come reagirebbe la massa in una situazione come quella del film? Io credo esattamente allo stesso modo.
“King Charles III” ci mostra infatti che, no, il Regno Unito (paradigma del mondo di oggi) non è pronto ad avere un re che ‘faccia’ il re, vuole solo le statue di cera coronate con cui farsi la foto da Madame Tussaud a 40£ l’ingresso, vuole solo le carrozze, le guardie a cavallo e il fotogenico duo di plastica W&K a fare ciao ciao con la manina dal balcone, tutto il baraccone del più grande spettacolo dopo il Big Bang (weekend incluso) in onda non-stop dal 1066 AD.
Sullo sfondo di tutto ciò viene oculatamente presentato anche il legittimo disagio di chi, nuovo in carica, sente su di sé il fardello del confronto con il proprio illustre predecessore ed è costretto a convivere con l’ombra gravosa delle aspettative, solo ed isolato dal proprio stesso ruolo e dalle invidie dei suoi stessi familiari che in tale situazione dimostrano il peggio del peggio, tra vecchi rancori, egoismi e ambizioni personali. Non si può non provare una triste simpatia per questo re Carlo, tutto solo a dover affrontare i leoni del XXI secolo fuori dal palazzo e le serpi velenose che si ritrova dentro casa, un “uomo perbene” che non accetta di mettere a tacere la propria coscienza per quieto vivere, un uomo d’altri tempi imprigionato nella piazza mediatica e che rifiuta di sottostare al fondamento del mondo moderno, quello stesso fondamento che invece ben comprendono l’ambiziosa Kate (che qui fa davvero una figura meschina, devo dire) e il pavido William: l’indice di popolarità regna.
Perchè se deve essere tutto solo uno spettacolo e nient’altro, il pubblico vuole anche che siano gli attori che più gli piacciono a interpretarlo.

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