Recensione su Si alza il vento

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18 Settembre 2014

Presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Si alza il vento” è l’ultimo prodotto dello studio Ghibli, e sancisce l’addio al format lungometraggio del pluripremiato maestro dell’animazione nipponica.
Giappone 1918. Jirō Horikoshi, nell’impossibilità fisica di divenire un pilota d’aereo, trasla il suo sogno in quello di ingegnere aeronautico. Preso a modello l’italiano Giovanni Caproni, il giovane crescerà svelando a se stesso l’incredibile mondo della progettazione, venendone presto catturato. La sua vita universitaria inizia con il disastroso terremoto di Tokyo, il quale gli farà incontrare Nahoko, sensibile ragazzina dall’aspetto ancora adolescenziale. La trama si svilupperà così tra l’amore per il lavoro ed una vita sentimentale della quale poco si parlerà, onde preservare ogni minima sensazione allo spettatore ancora privo della visione del film.
Hayao Miyazaki è forse il più importante tra i cineasti Giapponesi viventi, nonostante il suo campo d’azione si restringa alla sola animazione, e ciò ne intensifica ancora di più il significato. Negli anni, con il suo primo film “Il mio vicino Totoro” prodotto nel 1989, è riuscito a disegnarsi un posto di massima importanza tra la popolazione asiatica e non, creando un marchio distintivo che non è esagerato identificare come vero e proprio nuovo modo di fare cinema. La premessa era doverosa per capire cosa possa significare l’addio al cinema di un personaggio di tale levatura, che porta con se l’entusiasmo dei suoi cultori e la conseguente nostalgia pre-manifesta accompagnata all’evento dell’assistere al suo ultimo capolavoro.
Sono molte le novità rispetto ai precedenti lavori del regista e dello studio, prima tra tutte l’aderenza alla realtà: trattasi infatti di una libera interpretazione della vita dell’ingegner Jirō Horikoshi, personaggio chiave nel Giappone della seconda guerra mondiale, inventore del celeberrimo Mitsubishi A6M Zero, l’aereo “kamikaze”. Tale scelta non può essere giustificata con la sola passione del maestro per gli aeroplani (egli è inoltre figlio di un ingegnere aeronautico) ma chiede obbligatoriamente una risoluzione in ragione di una proiezione dell’artista nel protagonista. È evidente il parallelismo del finale di carriera o la sequenza in cui Jirō risulta talmente immerso nel disegno della struttura da poter volare tramite la sola punta della matita. Indubbia è non solo l’ispirazione alla storia reale, ma la stessa volontà di una narrazione che si dispiega su toni verosimili, concedendo sfogo alla sinfonia fantastica (caratteristica principale degli altri film del regista) nei soli momenti di sogno, in cui compare Caproni che condivide con Jirō lo stesso incanto motivazionale, quindi onirico. Un film che non si fa mera rappresentazione, ma che, proprio grazie all’impersonificazione del regista, riesce ad essere per lo spettatore sensazione di un’esistenza perseguente la passione, l’amore e la dedizione. Un meraviglioso salto empatico il cui risultato è la profonda comprensione di chi assiste, nella totale immersione emotiva cullata dalla delicatezza toccante dei modi narrativi, dei tempi, dei disegni e addirittura dall’elegante educazione di tutti i personaggi. La forma che esplica il contenuto.
Non meno densa è la morale che attenua il suo messaggio in favore di un incontro-scontro serrato, consapevole della complessità di ciò che sembra essere il giusto, senza risparmiarsi sui nodi ormai arrivati al pettine, e affrontando senza più allegorie gli enormi contrasti interni (ancora una volta sia del regista che del protagonista) che passioni unisone come aerei e pacifismo, motori e natura (…) portano con loro. Ancora una volta la traduzione su schermo di tale complessità diventa poesia dell’immagine, così gli aerei volano su cieli infiammati, eleganti e apocalittici cadono distrutti su neve bianca, Jirō cammina tra detriti fumanti, in volto alcuna espressione, non sa giudicare.
L’ultima fatica di Hayao Miyazaki è il lascito di una poetica che rivoluziona se stessa intraprendendo altre strade, e chiude il cerchio dipinto con l’intera filmografia.

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