M / 29 Giugno 2020 in Kabei: Our Mother

Yamada mette in scena un film iper-classico, iper-ozu-iano (stiamo d’altronde parlando di un regista che ha intitolato un’altra delle sue opere Kyoto monogatari), ma con cinquant’anni di ritardo che si sentono tutti.
Eppure il film è talmente ben congegnato, talmente dolce e sentito, così divertente nelle parti comiche e così doloroso nelle parti drammatiche da far passare in secondo piano qualsiasi vetustà stilistica.

Si parte dalla dimensione famigliare, privata della figura maschile per ragioni politiche, per ragionare sul rimosso della guerra e su conti con il passato che il Giappone non ha mai regolato fino in fondo (e forse questa estrema politicizzazione è l’unico elemento davvero lontano dal maestro Ozu).
Il ritratto di questo paese in uno dei suoi periodi peggiori, quello appena precedente alla seconda guerra mondiale, con la guerra in Cina (crociata, vuole la loro propaganda) in corso e la devastante ideologia imperialista al suo massimo splendore è atroce; tanti ipocriti, tanti vigliacchi, tanti incapaci di non farsi abbindolare dalla dottrina nazionalista. I pochi civilmente resistenti faranno una brutta fine. Amarissimo e bellissimo.

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