Recensione su Japón

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28 Ottobre 2013

japón
Carlos Reygadas

Un film amaro, fatto di close up, inquadrature fisse usate entrambe per spingere il pubblico a concentrarsi sulle rughe, i volti pesanti, la fatica e gli sforzi dei protagonisti, la faccia di un uomo che cambia. Primo piano ma anche riprese a campo lungo. Immagini suggestive di un Messico cupo, freddo, distruttivo, rurale, sofferente e malinconico.
Il protagonista della pellicola è un uomo che si affaccia a quello che si potrebbe definire tramonto della vita. Ci si affaccia pur non essendo vecchio e si sa come vanno a finire queste cose, ha deciso di finirla. Nella sua testa ritorna più volte un unico pensiero: il capolinea.
Vuole uccidersi.
E’ in preda a quella che sembra una crisi di mezza età elevata al cubo, affronta i suoi ultimi giorni in modo distaccato. Risulta apatico, crudele, antipatico, alieno. In questo stato d’animo abbandona la mondanità per addentrarsi nella campagna, zone tranquille, una natura toccata dall’uomo ma ancora parzialmente selvaggia.
E’ un anima in pena e nel suo ultimo viaggio non bada ad altri al di fuori di sé. Lo spettatore viene così trasportato in un Messico nascosto, sporco, misero, umile. Un Paese perduto, terzomondistico, fra le montagne. Ma è davvero solo ? Cosa cerca ? Da cosa fugge ? La sua, allo stesso tempo, è una ricerca e una fuga. Non fugge dalla città, non fugge da un nemico esterno. Fugge da sé stesso. Dietro la fuga e quelli che dovrebbero essere i suoi ultimi momenti di vita, si cela l’imprevisto. Piano piano riscopre la vita, l’interesse verso il prossimo.. tutto ad un alto prezzo. Senza dubbio si prepara alla morte, l’aspetta minuto dopo minuto ma nel mentre egli si incontra e si scontra con una vecchia nativa del posto. Il regista ci mostra così due stati d’animo, due modi di vivere la vita, due comportamenti completamente diversi l’uno dall’altro: da un lato quello del protagonista, un comportamento autodistruttivo; dall’altro quello della vecchietta, una donna piena di amore e allo stesso tempo succube/vittima degli eventi. Alle loro vicissitudini si lega l’arrivismo di un nipote della nativa, disposto a tutto pur di demolire la casa dove da anni risiede la vecchietta…

Japón ha moltissimi pro, oltre a quelli citati soprattutto nelle primissime righe, è un film “ambient” (passatemi il termine) attento al dettaglio, alle emozioni dei protagonisti, agli stati d’animo dei nostri. Ogni scena è una pennellata d’artista, profonda e tremenda. Pensate all’intimità che si instaura fra l’uomo e la donna. Un film sacro.

Ha un unico grande contro, non è una pellicola per tutti, è una pellicola che si prende i suoi tempi e i suoi spazi. E’ una carrellata di immagini e paesaggi suggestivi unita a una storia agrodolce molto poco dolce e fin troppo amara.

Non ho scritto queste ultime tre frasi tanto per, non le ho scritte nemmeno per lasciare intendere che se uno vede una pellicola di Carlos Reygadas è più profondo o migliore di chi ne può fare a meno . Ho scritto il “contro” per dare una dimensione completa al film a tutela di chi non vuole vedere una pellicola di questo tipo.

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