Recensione su Jackie

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Rivoluzione e portamento. / 9 Febbraio 2017 in Jackie

Retrospettiva intimista ed astratta degli ultimi giorni da first lady di Jacqueline Kennedy, successivi all’assassinio del 35º presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy.
In questo biopic alquanto singolare, in cui si mescola commedia e realtà, con toni drammatici e d’apologia, percepito attraverso gli occhi e il cuore dell’allora ”prima signora” statunitense, icona di stile ed eleganza nella couture dell’epoca, si possono riscontrare chiare tracce di un vissuto stravolto da un evento, che ha segnato, con la sua agghiacciante durezza, la fine di un idillio, di un regno ( da qui la metafora Camelot ) eretto sulle luci della ribalta.
Larraín, attraverso la giovane Jackie, non si affida alla sola memoria, ma ai sensi, all’ingenua poesia di un tatto perso, di una giostra illuminata, dalla quale si fa fatica a scendere.
Eppure vi è un’immane forza in questa bellissima donna esposta al dolore, e racchiusa in una raggelante rassegnazione. Una forza incarnata dal decoro, e da una dignità esteriore, mai incrinata dai dettami della vita.
I primi piani delegati all’attimo, alla sequenza di uno spasimo impresso, catturato, ed elegantemente avvolto in un manierato abbraccio, diventano ancor più veri perché sorretti da una mimica efficace, faconda ed incisiva.
Natalie Portman, la più talentuosa tra le attrici della sua generazione ( e non solo ) è strepitosa. La sua Jackie danza fra le memorie e le illusioni di un ideale, come se sfilasse dinanzi al mondo, a quel popolo che lei ha avvicinato al suo focolare, alla sua domestica e patinata dimora, che prima aleggiava nell’austerità e nella forma. Quella Jackie, che ancor più del suo primo e rinomato coniuge, era rivoluzione e portamento.

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