. / 6 Ottobre 2016 in J. Edgar
Non avevo mai visto un film con Leonardo mio che fosse noioso e recitato malissimo.
Ora si

Non avevo mai visto un film con Leonardo mio che fosse noioso e recitato malissimo.
Ora si
Forse Eastwood ha tentato l’impresa di far vincere l’oscar a Leo con questa interpretazione, ma non ha pensato di metterci un bel combattimento con un orso (che a livello simbolico poteva pure starci data la condizione psichica del protagonista!).
Il film ha il suo punto di forza nel come ritrae un uomo che mente persino a se stesso, ingrandendo il proprio ruolo, piegando la legge fino al ricatto più bieco, ma sempre conservando la coscienza sicura di essere nel giusto. Dove invece risulta poco convincente è nel rapporto di sudditanza che Hoover ha con la madre e nell’amore omosessuale mai consumato con l’agente Tolson: qui in entrambi i casi si finisce pesantemente sul clichés più frusto, e né la recitazione un po’ sopra le righe della pur brava Dench, né la prova invece disastrosa di Armie Hammer aiutano. Più interessante il rapporto ambiguo con la segretaria Helen Gandy, che forse andava esplorato un po’ più a fondo. Impressionante il make-up con cui DiCaprio viene efficacemente invecchiato di 40 anni.
Ennesimo grande affresco della natura umana offertoci da C. Eastwood.
Questo film è stato da molti tacciato di incoerenza e frammentarietà, ma credo che l’intento di Eastwood non fosse quello di offrire un’accurata ricostruzione storica, nè tanto meno di raccontare la vita di Hoover, bensì quella di indagare sull’uomo al di là del personaggio pubblico. E quanto ai meandri della natura umana il buon vecchio Eastwood non è secondo a nessuno.
La vita di un uomo, la sua intimità, non sono coerenti, non seguono binari precisi.
E allora, in questo film, gli eventi della vita di Hoover (liberamente tratti dalla sua biografia) sono uno strumento, un mezzo per raccontarci l’uomo dietro i gesti, il sangue pulsante sotto la maschera di controllo e austerità che indossava.
Da questo punto di vista il film è davvero efficace e, come sempre quando c’è il tocco del maestro Clint, riesce a mettere a nudo la profonda lacerazione interiore di un uomo grande quanto alla sua mente brillante e alla sua ambizione e al contempo piccolo al cospetto delle sue insicurezze, delle paure che lo hanno relegato in un limbo di asetticità, lontano dalle emozioni “pericolose”.
Il personaggio magistralmente interpretato, come sempre del resto, da Di Caprio, con una performance potente, è un uomo risoluto e determinato nel voler rivoluzionare l’intero sistema delle indagini di polizia, raggiungendo risultati dai più insperati e riformando interamente l’FBI, fino a dargli la “forma” che noi conosciamo.
Ma l’Hoover di Eastwood e Di Caprio è, nel profondo, un uomo spaventato, che sente prepotente il richiamo della sua vera natura, personificato dal suo braccio destro e compagno di una vita, C. Tolson, di cui avrà sempre bisogno ma che incarnerà sempre il suo desiderio non appagato, la sua felicità mai pienamente raggiunta. Un uomo che usava l’informazione come fonte di potere e di controllo, tenendo sotto scacco presidenti e uomini politici potentissimi, e che mai si permise di lasciare che qualcun’altro, inclusa la sua parte istintiva, emotiva, potesse tenerlo sotto controllo.
La smania di controllo, l’imperitura lotta contro lo spauracchio comunista, la mania di apparire perfetto ed onnipotente, tutto questo è il rovescio della medaglia di un uomo costretto, da sè stesso e da una madre dura, inesorabile artefice dei disagi del figlio, a prendere le distanze dal proprio caos interiore, compensando l’insicurezza e la paura con un feticcio tanto grande quanto i suoi rimpianti, realizzando qualcosa che potesse, almeno in parte, placare il suo vuoto interiore.
Questo ho visto in questo film. E per questo ne ho apprezzato, a dispetto di una certa lentezza in alcuni passaggi, la struttura volutamente frammentaria, i salti temporali, i ritagli di una vita raccontata attraverso i momenti che hanno definito l’uomo al di là del nome.
Non ho apprezzato, invece, la fotografia a mio parere troppo scura e il trucco degli attori invecchiati…Armie Hammer sembrava un mascherone di gomma piuma!
Un film importante, che conferma la profonda sensibilità di Eastwood, e, in questo caso, del bravissimo sceneggiatore D. L. Black, nel leggere tra le righe della natura umana, mostrandoci uomini e donne ambigui, duri, in bilico, ma sempre veri.
Consigliato.
Pretenzioso, confuso ed inconcludente. Anche se ho apprezzato molto la fotografia scelta per le narrazioni del passato, i dialoghi mi sembrano buoni…ma perché la scelta di quei truccatori?! non sono riuscita a prendere seriamente neanche un minuto in cui Di Caprio e co. apparivano sullo schermo, prendendo le sembianze de “I soliti idioti”! Forse avrebbero evitato tutto questo, semplicemente lasciando a Di Caprio la sola recitazione di Hoover da giovane, scegliendo qualcun altro per rappresentarlo da vecchio. Nel complesso, una caduta di stile.
“J. Edgar” è l’annuale prodotto di un autore ormai da tempo sazio artisticamente, ma non economicamente, nonché malcelata e patinata operazione costruita a tavolino. Di Caprio tutto in tiro per cercare di portarsi a casa sta benedetta statuetta, compreso nel biglietto…
Credo di preferire l’Eastwood fittizio e intenso, quello che si butta in una sceneggiatura, la fa sua e ti colpisce come avesse un martello, ma la biografia di Hoover non è certamente un fallimento. Il film è molto lungo, 2h 20 min, ma non mi sono pesate e sono giustificate dalla necessità di narrare di un cinquantennio di ascesa, egocentrismo, rivoluzione investigativa, patriottismo malato ( a mio parere) e megalomania sfrenata. Oltre a ciò, vanno inclusi gli aspetti privati della vita di Hoover, quelli meno certi, che penso siano stati trattati con discrezione e senza forzare la mano, dato il personaggio complicato, dal carattere impossibile e dal rapporto morboso con la madre. Omossessualità o no, ha represso ogni forma di affetto esplicita.
Leonardo Di Caprio fa come sempre un lavorone, sebbene il personaggio non gli permetta troppi slanci. Anche il resto del cast non è male. Ciò che è male è il trucco di Armie Hammer, una maschera plastificata, specialmente nella prima metà del film e il doppiaggio italiano, uno dei peggiori mai visti. Il solito doppiatore di Di Caprio che fa il vocione invecchiato era inudibile, assolutamente.
Merito al montaggio, che poteva venir fuori uno schifo e invece è stato ottimo, alla fotografia molto cupa e alle musiche, al solito di Clint.
Un ottimo montaggio salva questa lunga pellicola, dallo stile piuttosto documentaristico, che affronta la vita di J. Edgar Hoover da un punto di vista inusuale. Ottimo Di Caprio nell’interpretazione; Pessimo il reparto trucco per quel che riguarda l’invecchiamento dei personaggi di Clyde Tolson e Miss Gandy, decisamente gommosi. Non il miglior Eastwood.
L’ultimo film di Eastwood, che si va a vedere perché sì. E perché lui può.
Abbiamo la biografia filmata di questo Hoover che fondò praticamente l’FBI, cazzuta e cattiva come oggi la conosciamo, rivoluzionando i metodi di indagine ecc. La stessa di cui adesso appare quel buffissimo pannello pieno di stemmi e aquile quando si prova ad aprire un link di megavideo. Hoover fu a capo dell’FBI per otto presidenti americani di fila, finendo per essere giocoforza un pezzo di storia d’America. Ce lo si presenta solitario e ossessionato, dai comunisti bolscevichi sovvertitori e bombaroli e dal lavoro (Amica P, che è di Rifondazione, accanto a me al cinema che diceva “minchia ma eravamo fortissimi!”). Dopo i comunisti inizia la guerra ai gangster, e poi quella alle Pantere Nere, e prima il rapimento del figlio dell’esploratore Lindbergh, che aveva tenuto col fiato sospeso la nazione per l’importanza simbolica del personaggio. Hoover è un Leonardo DiCaprio quasi inumano, che da vecchio ripercorre a flashback l’intera sua carriera (sì però basta con questi flashback), come conobbe la sua fidata segretaria (che alla sua morte fece sparire tutti i dossier compromettenti che lui teneva per usarli alla bisogna contro i suoi avversari), il suo secondo, con cui ebbe per tutta la vita un soffocato ed inespresso rapporto di amore omosessuale, il rapporto con la madre, autoritaria e cagacazzi. Poi ci credo che esce un figlio così. Ne esce un film che non mi è parso un capolavoro, né aiuta a fare luce su questo o quel passaggio storico dei tanti che vengono rievocati, ma ritrae nel solo suo protagonista – tutti gli altri restano piuttosto monodimensionali e schiacciati al confronto – mille facce contrastanti della stessa America. Potente ed ossessiva, terrorizzata alla ricerca di nemici interni ed esterni, pronta a qualsiasi cosa per difendere i suoi ideali, anche a fottersene dei suddetti. DiCaprio invecchia male, e scimmiotta la parlata buffa e terribile di Hoover, per cui magari lo presero in giro per tutta la vita, e quando parla lui non si capisce nulla (e meno male c’erano i sottotitoli). É difficile provare empatia con un personaggio del genere, nessuno vorrebbe essere così, a non avere una vita propria, dedicando tutto se stesso ad un ideale cieco che finisce per fagocitare tutto il resto dell’esistenza. Purtroppo per lui, “la gente non è il lavoro che fa” (cit. da I Cani).
Oh, Clint, oh mio Clint. Chi se lo sarebbe mai sognato di vederti ridotto così? Ho visto tanti grandi essere resi schiavi del loro cinema, da Argento ad Allen, e perfino il grandissimo Martin Scorsese, ma non avrei mai creduto di poterci vedere te! Dopo aver meditato in uno stato di trans fisiologica sull’idea dell’oltretomba in Hereafter, il regista americano più in voga degli ultimi 40 anni, torna a parlare della sua America, l’America sporca, quella dal cuore nero. Ma per farlo torna a passato e scava nell’FBI, alla ricerca della storia segreta (e non poi così tanto) di J.Edgar Hoover, storico capo e fondatore del distretto investigativo, simbolo di un’America in procinto di attuare un profondo cambiamento, che però si taglia le ali da sola. La morale è sempre la stessa, nel passato stanno le radici di ciò che accade in questo nostro becero presente e allora via alla sua ricerca, per spiarlo in ogni angolo buio e riconsiderarlo, alle volte, come un periodo di mutamento e non solo come un periodo di distruzione dell’essere e dell’etica dell’essere. E allora ecco che Clint Eastwood, regista solitamente staccato dal suo passato(che cita amorevolmente quando capisce che il film non ce la fa a decollare da solo), stavolta, nel raccontare vita, morte e miracoli(e peccati) dell’uomo Hoover, compie l’errore di rendere la narrazione molto romanzata, anche se infinitamente reale. Non è chiaro Eastwood, non prende posizione e in questo caso non è certo un bene, su una figura così difficile da interpretare, che porta a spasso con sé il passato di un’intera nazione, che ha cambiato il modo di vivere la giustizia, o se così si può chiamare. Attraversando gli anni di storia, J Edgar si perde nelle sue pagine oscure e non ne esce più vivo, venendo quindi stritolato da esse e rendendosi conto dell’impossibilità di sentirle davvero sue. L’immagine del potere che viene offerta nel film è ambigua, folgorante eppure frustrante, ripetitiva, a volte noiosa. Il film è una vera e propria sicurezza per gli Oscar, è uno di quei film che può piacere all’Academy, pur non essendo certo un pezzo da novanta e anzi avendo molti, ma molti più difetti che pregi. La riflessione che Eastwood fa in J Edgar, incidendo i segni della fatica e dell’età sul corpo di un incredibilmente spaesato Leo Di Caprio, non è quella su un capo dell’FBI, con tutte le contraddizione del caso, ma bensì è quella su un uomo, con tutte le contraddizioni del caso. E il Clint, che ci ha sempre abituati a ritratti umani straordinari e melodiosi, come ogni suo personaggio, stavolta fallisce nel cercare di creare un personaggio ambiguo, in cui ci si riconosce, che si odia, ma che si rispetta, che non si conosce ma si potrebbe ammirare, oppure che non si potrebbe mai e poi mai ammirare. Montaggio frammentato, mescolamento spazio-temporale, eventuale disagio causato da questi lenti spostamenti, contribuiscono alla noiosità di un film che non dice nulla dal primo all’ultimo fotogramma. L’idea cinematografica da cui si parte è grandiosa: Uno dei migliori registi americani della storia, con un grande attore americano, a fare un biopic su uno dei maggiori personaggi, nel bene e nel male, americani del ventesimo secolo. Ma tra il dire e il fare, come al solito, c’è di mezzo un enorme oceano. Dustin Lance Black, sceneggiatore del film, non si accontenta di cercare di scoprire più cose possibili su Hoover e di ammassarle una sull’altra, ma cerca perfino di trovare qualcosa che non c’è, tra i mille indizi e i mille dubbi: sull’omosessualità del personaggio, sui suoi rapporti con la famiglia, sui suoi rapporti con l’America, coi giornalisti, con ogni istituzione. Diventa un ritratto quasi orgoglioso su un personaggio scomodo, che Clint fa rivivere sotto pellicola e che non ha il giusto seguito. Destinato a dividere, J Edgar conferma il triste declino dell’Eastwood regista, ma probabilmente verrà salutato come capolavoro dalla critica italiana, troppo impegnata a leggere i crediti del film, piuttosto che a guardarlo realmente. Pasticcia Clint, pasticcia Di Caprio, pasticcia Black. E il pasticcio è immangiabile.
Il film è fatto bene.
L’evoluzione del personaggio e della storia non li ho trovati omogenei: mentre la parte politica è appassionante ed interessante, la parte personale l’ho trovata incompleta, non risolta, e come risultato i rapporti con la madre e con Tolson non sono stati narrati in maniera fluida.
Di Caprio è indubbiamente molto bravo, credibile anche da Hoover anziano, anche se purtroppo la voce italiana, come al solito, è totalmente inadeguata. Hammer abbastanza anonimo, normale amministrazione per la Watts.
Il trucco di Di Caprio e della Watts anziani non è male, mentre quello di Hammer rasenta il ridicolo.
Dopo il dittico Letters from Iwo Jima (2006) e Flags of Our Fathers (2006), dedicati alla battaglia di Iwo Jima della 2° guerra mondiale, e Invictus (2009) sul presidente sudafricano Nelson Mandela, Clint Eastwood torna ad occuparsi di Storia e sceglie J. Edgar Hoover, il primo direttore dell’FBI, una figura estremamente controversa ma fondamentale nella storia americana del XX° secolo. La sua ascesa al potere, ottenuta anche grazie a metodi violenti e ai limiti della legalità, dalle retate violente durante il Maccartismo al “finto” arresto di Dillinger fino ai ricatti a JFK e Richard Nixon, ci viene raccontata da Eastwood con le sue luci e le sue ombre, senza mitizzare né giudicare Hoover.
L’attenzione del regista però si focalizza soprattutto sulla vita personale di Hoover e sulla sua presunta omosessualità. Sicuro di sé e arrogante sul lavoro, Hoover ci appare improvvisamente sottomesso e fragile nel rapporto con la madre autoritaria, interpretata da un’ottima Judi Dench, che gli impone una carriera e una vita di apparenza (spietato il commento “Meglio un figlio morto che un figlio gerbera”).
http://www.diariodipensieripersi.com/2012/03/recensione-j-edgar-di-clint-eastwood.html
Prima parte veramente entusiasmante, ma verso la fine mi ha deluso. Speravo in un film diverso, non nella solita sdolcinata storiella d’amore (poco) corrisposto…
Comunque un’interpretazione magistrale di Leo.
il tema della storia è che per fare del bene a volte si deve fare anche del male. forse anche per questo non sono rimasto coinvolto più di tanto dalla storia. tutto sommato il film mi è apparso freddo e poco coinvolgente.
è tutto sulle spalle del protagonista ma qualche soldino in più per il reparto trucco potevano spenderlo.
Piu’ che lungo (probabilmente la lughezza del film e’ adeguata, data la complessita’ del personaggio da descrivere) la trama si dipana in modo eccessivamente macchinoso: non tutti i passaggi si susseguono in modo fluido e chiaro e durante la visione si tende ad aspettare la fine con troppa impazienza.
Non conoscendo per niente la storia e la vita di quest’uomo, da questo film posso solo trarre una conclusione non di certo molto positiva su J.Edgar Hoover. Avrà anche fatto delle cose notevoli per FBI ma per il resto e soprattutto i modi forse erano consoni per quel tempo ma ora di certo non sono pregievoli.
Per quanto riguarda invece il film mi dispiace ma Di Caprio proprio non l’ho visto bene nel ruolo del protagonista. E come film lascia un po’ a desiderare.
Consigliarlo solo forse per far conoscere una figura importante a chi non aveva, come me, idea di chi fosse.
Altrimenti c’è sicuramente meglio da vedere.
Bocciato!
I biopic sono un genere da maneggiare con cura: impongono una sorta di percorso obbligato dovendo coniugare generalmente vita privata e vita pubblica dei personaggi raccontati. Anche in questo caso l’uomo pubblico ha un riflesso rivelatore nel vissuto privato e, soprattutto con Hoover, la cosa si fa spinosa essendo passato lui alla storia come l’uomo che avrebbe voluto schedare un intero paese e che si intrometteva nel privato di migliaia di persone, potenti o meno.
Eastwood sceglie allora un registro che legga la vita di Hoover lungo 50 anni saltellando fra un presente ambientato negli anni 60 del novecento e la sua gioventù, scegliendo la voce off dello stesso che narra se stesso (sta scrivendo un libro di memorie) in questo modo tematizzando un altro tema centrale, la manipolazione delle notizie, l’intangibilità della verità. Il risultato è medio medio, bella fotografia, ottima la resa di di Caprio invecchiato, bravi gli attori, ma ingessato il tutto. Eppure con un personaggio così la carne a fuoco è tanta: uso politico delle informazioni, storicizzazione della legalità, tutela del bene comune a scapito della violazione di diritti privati, megalomania del personaggio, lo sviluppo scientifico dei metodi di indagine, quale è il limite, opaco comunque, dell’infrazione delle leggi. Ne viene fuori il ritratto di un uomo cresciuto e formato in un periodo in cui una nazione si sentiva sotto attacco e che ha replicato quel sentimento per decenni impermiabile ai cambiamenti.
Un uomo in trincea consapevole del valore delle informazioni come strumento di potere, votato ad una idea di bene dello stato così assoluto da piegarvi ogni altro diritto (eppure un limite di fronte a Nixon lo ha anche lui, tutto ha un limite), brillante nel perseguire lo sviluppo di un ufficio sottostimato fino a crearne il mito che in fondo è oggi, moderno per l’epoca in tutte le sue scelte lavorative quanto è conservatore nelle scelte private. Hoover ci viene ritratto come il ragazzo mai cresciuto soggetto all’influenza di una madre volitiva che lo adora e che replica il rapporto famigliare con la segretaria (quasi asessuata, rocciosa e forte, dedita a lui e ad una comune idea del lavoro). E c’è una denuncia forte a riguardo della vita privata di Hoover che visse more uxorio per decenni con il suo compagno tutelato dalle possibilità economiche e sociali in un’epoca in cui l’omosessualità era malattia e che rivela come i diritti civili (un cancro per la nazione) siano democraticamente fruibili da tutti a costo zero, siano dunque uno strumento di livellamento sociale.
Eastwood in vecchiaia è un giovane progressista, ogni passaggio del film è una argomentazione sulle libertà civili, sulla tutela dei diritti, sul pericolo che incorre una nazione ad abdicare alla difesa di alcuni di essi in stato di emergenza, cosa sia uno stato di emergenza e chi decida in merito.
Sarà forse che proprio la biografia mi attira poco, ma diciamo che è un compito portato a termine che non brilla particolarmente
A me personalmente è piaciuto. L’ho trovato abbastanza equilibrato nelle critiche, che erano d’obbligo visto il personaggio controverso, ma anche nei pregi riguardanti gli ammodernamenti fatti al bureau e al suo personale. Dai trailer avevo storto un po’ il naso per l’utilizzo di Francesco Pezzulli (doppiatore ufficiale di Di Caprio) sia per l’Hoover giovane sia per quello anziano, ma il risultato alla fine non è disprezzabile. Regia efficace nonostante i continui sbalzi temporali. Di Caprio intenso e sofferto, un buon Armie Hammer nella parte del suo braccio destro e una pacata interpretazione da parte di Naomi Watts che ho ritrovato con piacere dopo “La Promessa dell’Assassino”.
Assurdo che per fare la recensione di un film biografico ci si appigli al trucco degli attori! E’ vero che si sarebbero potuti usare attori “anziani”, ma francamente ci sarebbe stata una spersonalizzazione dei personaggi. Forse il trucco di Tolson poteva effettivamente essere migliore, ma quelli di Hoover della segretaria Helen sono impeccabili.
Detto questo, sceneggiatura ottima, finale che davvero colpisce al cuore per tutta la tenerezza che sprigiona.
Peccato che in sala c’erano dei personaggi immaturi che durante una certa scena (che non voglio rivelare, ma che se qualcuno conosce la vita di Hoover potrà immaginare) hanno esclamato a più riprese “che schifo!”.
Davvero davvero noioso ed eccessivamente lungo. E poi, invece di rendere gli attori invecchiati delle caricature, non era meglio usare degli attori anziani??
La scomoda e controversa personalità di Hoover non poteva che essere una portata irresistibile per il buon vecchio Clint, attratto dai personaggi foschi e dalle duplici verità. E questo biopic, dalla fotografia raffinata (toni oscuri e freddi e atmosfere nitide e glaciali che ben si adattano all’ambiguità di fondo del protagonista) e sapientemente musicato dallo stesso Eastwood, coglie nel segno. Eastwood si sofferma sull’Hoover meno conosciuto, quello più intimo, sul suo rapporto di dipendenza dalla madre e sulla sua presunta omosessualità, riconciliandole con la figura dell’austero e deciso rivoluzionatore del Bureau americano. Rigore e precisione, meticolosità e spietato raziocinio a cui si alternano la fragilità di un uomo che aveva imparato a diffidare di chiunque, anche di sè stesso.
La mano ferma di Eastwood dirige una buona pellicola che si spande per 48 anni di storia americana filtrati attraverso il protagonista, un Hover magistralmente interpretato da Di Caprio, che stavolta l’Oscar lo meriterebbe a pieni voti, se non altro per celebrare l’ormai lunga serie di ruoli che lo vedono ottimo attore…”Titanic” e dintorni ormai sono acqua passata!
Clint, certo che una schifezza potresti anche farla ogni tanto! Ogni volta il solito capolavoro… E basta! Ahahah 😀
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