27 Agosto 2014
Stati Uniti d’America: in un periodo che va dal 1919 al 1945, un ragazzino diventato poi uomo, nonostante le mille difficoltà, non si rifiuta mai di prodigarsi per il bene del prossimo, rinunciando a tutti i suoi sogni.
Nonostante questo, contrariamente a ciò che si pensa, il mondo non è un posto giusto, e così il nostro protagonista si troverà sull’orlo del baratro…. in tutti i sensi.
Fortunatamente nei paraggi si aggira il suo angelo custode… in tutti i sensi, che gli farà vedere tutto il bene che ha causato a chi gli stava intorno, riportandolo sulla strada giusta e permettendogli di trovare nuovo entusiasmo.
Dopo “Casablanca” e “Furore” è il mio terzo viaggio negli anni ’40, devo dire che è uno spaccato abbastanza ben fatto della società di quei tempi, e dei suoi gusti cinematografici. Erano tempi in cui il cinema si usava prettamente per evadere. Si era appena usciti dalla guerra e il pubblico aveva bisogno di lieti fini per non pensare alla catastrofe appena lasciata alle spalle, e – per quanto riguarda l’Europa – per non badare troppo alle macerie tutte intorno. Una tendenza che sarebbe rimasta nella maggior parte dei film almeno fino agli anni sessanta. E diciamocelo, se la storia del nostro, è terribilmente realistica, così non è l’ultimo quarto. Giusto un angelo avrebbe potuto salvarlo, nella vita vera sarebbe finita molto diversamente, ma ai tempi piaceva così. Non eravamo così masochisti da usare i film per ricordarci che la vita fa schifo, come invece si fa oggi

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