Recensione su Irma la dolce

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Eccovi le mie farraginose farneticazioni femministe / 21 Aprile 2017 in Irma la dolce

Premetto: io adoro Billy Wilder.
Tuttavia pure lui, come del resto ogni grande regista del passato, era figlio del suo tempo e dei suoi costumi. E il mondo del 1963 era orrendamente maschilista, tale da considerare per esempio assolutamente normale la devozione totale e assoluta di una moglie al “suo uomo”, il fatto che dovesse badare ai figli, non avesse istruzione, libertà individuale e potesse venir derisa pubblicamente in una cena tra amici, veniva tollerata la “scappatella” di un marito, così come ritenuto legittimo il ricorso alla prostituzione fatto salvo le precauzioni sanitarie etc. Ebbene, la rivoluzione sessuale mutò per fortuna parecchie cose (ok, il maschilismo è duro a morire, ma un po’ di ragnatele sono state spazzate).
Così rimangono alcune pellicole che per quanto brillanti e colorate, portano tracce più o meno evidenti di questo fastidioso retaggio; in ‘Irma la dolce’ assistiamo a una rappresentazione divertita del mondo della prostituzione, perorata addirittura come un pungolo al moralismo, in cui all’imbranato ex poliziotto impersonato da Lemmon si concede la candida veste del “buon pappone”. Dove si poteva sospirare per l’atto d’amore devoto con cui Shirley MacLaine prometteva di lavorare molto di più per il totale mantenimento del suo amato.
Ecco, tutto ciò mi rodeva dentro come un tarlo durante la visione. Una vocina mi diceva di smetterla, che si trattava solo di un facile moralismo a posteriori.
A parte queste mie farneticazioni, resta secondo me particolarmente interessante lo svilulppo del tema del “doppio”, che trascina un po’ la commedia verso il dramma, oltre alla eccezionale prova di Lemmon nei panni dell’azzimato Lord X con una parlata british esilarante, che raccomanderei di gustare in lingua originale.

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