11 Marzo 2011
La trama del film non può essere lineare nè coerente, ci sono gli anni 50, e lì c’è Dylan piccolino, guarda caso è nero, ed è il pezzo della sua vita che incontra musicalmente il blues, c’è la sua venerazione e la sua imitazione di Gautrie, sempre che si scriva così; poi c’è il Dylan che esplode e siamo con Bale, la Moore si ispira alla Baez, sono gli anni 60, c’è l’impegno civico, c’è la politica, c’è però anche la poesia, quella migliore di Dylan e il suo disagio ad essere fagocitato dal suo profilo pubblico; poi ci sono la fine degli anni 60 ed è la Blanchett e il richiamo del rock, con il tradimento della sua impostazione politica e delle sue sonorità, il mondo si ritira in se stesso, alla richiesta di esposizione pubblica c’è il rifiuto di farsi voce di una massa che lo usa; poi arrivano gli anni ’70, la fine della guerra, la fine del grande richiamo pacifista che tutti univa, e qui c’è il privato dell’uomo, la sua storia d’amore, prende da diverse mogli, ma anche dalla Baez, qui è un artista diverso che interpreta su pellicola il Dylan maledetto di Bale, ma appunto nulla condivide di quell’afflato, tanto che la moglie si innamora di lui quando recita e per quel che dice nel film che interpreta, e qui c’è il problema del rapporto fra immagine pubblica e immagine privata; poi c’è Gere che è l’età anziana, richiama Billy the Kid perchè strizza l’occhio al fatto che Dylan partecipò come attore al film realmente, e si inventa una piccola storia cavalcando il mito di the Kid, e c’è una sorta di idea di resistenza privata, non più di condivisione di gruppo, lui si è ritirato a vita privata, ma rimane il ribelle di sempre.
Questo semplificando molto, giusto per dire di che parla, senza stare a lì a discutere delle doppie interpretazioni etc., le storie sono legate dalla figura del cantante (Rimbaud?) che viene interrogato e che fa come da collante. Molte parti del dialogo sono direttamente prese dalle sue canzoni, la Blanchett muore, che è un po’ peggio di cosa capitò a Dylan che ebbe però un incidente in modo e che vorrebbe raccontare, la chiusura di una fase etc. etc.
Comunque per me è più america che Dylan, più società che si racconta, che ha affrontato momenti diversi scontrandosi con la storia, inseguendola, rifiutandola, confrontandosi con i suoi fantasmi e le sue ossessioni. Non per nulla Bale, un po’ incongruamente per essere Dylan, anche se ebbe la sua conversione al cristianesimo, ma molto azzeccato per essere l’america, finisce a cantare le lodi di Dio
Della Blanchett mi è piaciuta l’impersonificazione, perfetta se ripenso ai video e ai filmati di Dylan giovane, la capacità di rendere quel certo nervosismo, quella certa covata inquietitudine che sembra studiata, ma vuole essere solo taciuta.

Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.