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Io non sono qui

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9 Marzo 2013 in Io non sono qui

Todd Haynes ha conquistato il mio cuore. Dopo Velvet Goldmine e Mildred Pierce, I’m Not There è l’ennessima ottima prova. Non solo il cast è in stato di grazia ( Cate Blanchett è brava brava e brava, e mi accorgo sempre di più di adorare Ben Winshaw. Recitare su uno sfondo bianco perenne ed essere capaci ed intensi non è da poco. Le sue parti sono tra le migliori.) ma tutto, dalle scenografie,alla splendida fotografia caratterizzata per ogni scenario, alla colonna sonora, a quell’aria onirica che da vita a scene visivamente perfette, funziona alla grande.

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6 Febbraio 2013 in Io non sono qui

Non mi piacciono molto i film che saltano di qua e di la nelle scene. Es. Anni ’50 mixati con anni ’60 ecc. Però in se il film non è male. E le canzoni erano tutte belle. I personaggi che mi sono piaciuti di più sono: Jack Rollins, Jude Quinn e Woody Guthrie.

Biopic inusuale / 29 Dicembre 2012 in Io non sono qui

Il regista Todd Haynes, curatore anche della sceneggiatura con Oren Moverman, ci propone un film biografico non convenzionale, che ripercorre le tappe fondamentali della vita e della carriera, del cantastorie, artista, poeta, anticonformista Bob Dylan, attraverso gli occhi di sei personaggi, ad ognuno dei quali è associato una tappa fondamentale della vita del cantautore. Troviamo l’ossessione per la musica folk e per il cantante Woody Guthrie; la fase più acustica della carriera di Dylan la ripercorriamo insieme a Christian Bale e il suo Jake Rollins; una sorprendente Cate Blanchett, con Jude Quinn, ripercorre gli anni della svolta “elettronica” e rock, controversa secondo gli amanti del folk, i quali fischiano e criticano assiduamente il cambio stilistico dell’autore; Richard Gere con “Billy the kid”, rievoca la partecipazione di Bob Dylan nel film Pat Garret e Billy The Kid e la passione per la musica country; Robbie Clark (Heath Ledger) interpreta un attore in un film biografico, imprigionato nel suo stesso personaggio, alludendo al periodo nel quale Dylan stava divorziando dalla moglie Sara; infine Arthur Rimbau, sottoposto ad interrogatorio dopo l’arresto per contestazione, risponde alle domande degli inquirenti, le quali risposte sono prese dagli scritti e dalle interviste originali di Bob Dylan, nei quali cita spesso l’influenza del poeta Rimbau.

Il film si presenta come un viaggio a 360° nella vita del cantante, ti dà l’occasione di approfondire la conoscenza dell’autore, o, per chi non è fan, di iniziarla, ti permette di mettere in discussione il personaggio e l’uomo Bob Dylan, ti aiuta ad amarlo, disprezzarlo e giudicarlo.

Aver raccontato la vita di Bob Dylan attraverso la storia di personaggi diversi non ha reso la pellicola il solito film biografico, ma ne ha creato una visione nuova e anticonformista, come lo stesso Dylan voleva essere.

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4 Luglio 2012 in Io non sono qui

Il film biografico diretto da Todd Haynes che non è una fedele riscostruzione della vita di Bob Dylan ma una visone poetica di quello che è stato per il suo tempo.
Il film è stato l’unico lavoro di questo genere ad ottenere l’approvazione di Bob Dylan in persona.
L’interpretazione di Cate Blanchette è a dir poco favolosa…

Lunga vita al tamburino! / 16 Marzo 2011 in Io non sono qui

I più giovani non lo possono ricordare ma c’è stato un tempo in cui mister Bob Dylan non era quel biascicone scontroso che conosciamo oggi, ma una delle menti artistiche più geniali della storia contemporanea. Questo film è la sua celebrazione, un omaggio all’uomo e all’artista attraverso un coro di personaggi emblematici: il menestrello agli inizi del suo percorso; il musicista affermato deciso a dare una svolta al suo stile;il personaggio di una delle sue canzoni; Rimbaud; e infine l’artista che vive in modo ambivalente la sua condizione. Il film è ricco di riferimenti e citazioni colte, immagini metaforiche, visioni oniriche; solo un tuttologo di Dylan sarebbe in grado di capirlo al cento per cento. Ciononostante si fa apprezzare da tutti per le sue immagini squisite e per quell’allure da ‘oggetto d’arte’ che lo circonda.

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11 Marzo 2011 in Io non sono qui

La trama del film non può essere lineare nè coerente, ci sono gli anni 50, e lì c’è Dylan piccolino, guarda caso è nero, ed è il pezzo della sua vita che incontra musicalmente il blues, c’è la sua venerazione e la sua imitazione di Gautrie, sempre che si scriva così; poi c’è il Dylan che esplode e siamo con Bale, la Moore si ispira alla Baez, sono gli anni 60, c’è l’impegno civico, c’è la politica, c’è però anche la poesia, quella migliore di Dylan e il suo disagio ad essere fagocitato dal suo profilo pubblico; poi ci sono la fine degli anni 60 ed è la Blanchett e il richiamo del rock, con il tradimento della sua impostazione politica e delle sue sonorità, il mondo si ritira in se stesso, alla richiesta di esposizione pubblica c’è il rifiuto di farsi voce di una massa che lo usa; poi arrivano gli anni ’70, la fine della guerra, la fine del grande richiamo pacifista che tutti univa, e qui c’è il privato dell’uomo, la sua storia d’amore, prende da diverse mogli, ma anche dalla Baez, qui è un artista diverso che interpreta su pellicola il Dylan maledetto di Bale, ma appunto nulla condivide di quell’afflato, tanto che la moglie si innamora di lui quando recita e per quel che dice nel film che interpreta, e qui c’è il problema del rapporto fra immagine pubblica e immagine privata; poi c’è Gere che è l’età anziana, richiama Billy the Kid perchè strizza l’occhio al fatto che Dylan partecipò come attore al film realmente, e si inventa una piccola storia cavalcando il mito di the Kid, e c’è una sorta di idea di resistenza privata, non più di condivisione di gruppo, lui si è ritirato a vita privata, ma rimane il ribelle di sempre.

Questo semplificando molto, giusto per dire di che parla, senza stare a lì a discutere delle doppie interpretazioni etc., le storie sono legate dalla figura del cantante (Rimbaud?) che viene interrogato e che fa come da collante. Molte parti del dialogo sono direttamente prese dalle sue canzoni, la Blanchett muore, che è un po’ peggio di cosa capitò a Dylan che ebbe però un incidente in modo e che vorrebbe raccontare, la chiusura di una fase etc. etc.

Comunque per me è più america che Dylan, più società che si racconta, che ha affrontato momenti diversi scontrandosi con la storia, inseguendola, rifiutandola, confrontandosi con i suoi fantasmi e le sue ossessioni. Non per nulla Bale, un po’ incongruamente per essere Dylan, anche se ebbe la sua conversione al cristianesimo, ma molto azzeccato per essere l’america, finisce a cantare le lodi di Dio

Della Blanchett mi è piaciuta l’impersonificazione, perfetta se ripenso ai video e ai filmati di Dylan giovane, la capacità di rendere quel certo nervosismo, quella certa covata inquietitudine che sembra studiata, ma vuole essere solo taciuta.

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