ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
C’è qualcosa di questo film che mi sfugge.
La circolarità della storia, forse, mi aliena dal senso più profondo del vagare senza alcun apparente costrutto di Llewyn.
L’ingiustizia nei confronti del suo talento, forse, mi rattrista, ma non apprezzo neppure il suo parassitismo, la sua figura di martire artistico.
La ricerca della “curiosità”, perpetrata a più riprese (vedi il personaggio interpretato dal mastodontico Goodman, per esempio) e supportata da un turpiloquio gratuito che non conoscevo ai Coen in questa misura, forse, non mi ha incantata (ho trovato comunque divertente il fatto che la sorella del protagonista sottolineasse questo particolare, redarguendo Llewyn circa le sue espressioni troppo colorite).
Non ho compreso la funzione della fotografia desaturata, se non finalizzata ad un semplice vezzo estetico. Né ho afferrato completamente il “valore” della figura avvolta nell’ombra che apre e chiude il film.
Di questa pellicola, a caldo, mi resta quindi ben poco: alcune facce azzeccate (la segretaria del discografico, per esempio), Oscar Isaac decisamente interessante (prima d’ora, per me, era un perfetto sconosciuto, anche se ha recitato in pellicole che ho già visto), un gatto (o più gatti, non ho verificato) meraviglioso e, se piace il genere (e a me non dispiace) il folk a stelle e strisce, è ben rappresentato da una serie di brani dal testo dolente e da una melodia orecchiabile.
Cosa hanno voluto dire i Coen, stavolta? Cosa?
L’irresolutezza dei tentativi “duri e puri” del protagonista, pur essendo ammirevoli (la scena del provino con Bud Grossman è particolarmente significativa), non lo riscattano (ai miei occhi) da una certa abulia, per cui non sono stata intrigata, incuriosita o interessata dalle sue vicende.
Se dovessi dividere un’ideale lavagna in “Coen Buoni e Coen Cattivi “, purtroppo, questo film accompagnerebbe nella colonna di destra, seppur con un certo distacco, A serious man.
P.s.: il gatto si chiama Ulisse come il protagonista di Fratello, dove sei?, anch’egli interprete folk come Llewyn, e vive anche lui una piccola Odissea. Ma tu guarda l’autoreferenzialità.
P.s.2: il proprietario del Gaslight si chiama Pappi Corsicato. Ancora un po’ e casco dalla poltrona.
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