15 Recensioni su

A proposito di Davis

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Gatto e chitarra / 20 Gennaio 2017 in A proposito di Davis

E con questo ho visto tutti i film dei Coen, eclettica coppia dal cinema intelligente e particolarmente curato, forse il miglior compromesso contemporaneo tra la produzione mainstream e il cosiddetto cinema d’autore.
Inside Llewyn Davis è un bel viaggio nel mondo della musica folk americana attraverso la storia di un giovane irrisolto e senza radici nel suo peregrinare in cerca di una chimerica realizzazione. Ottima prova di Oscar Isaac, l’uomo giusto che i Coen hanno atteso lungamente prima di poter finalmente realizzare un film dove il protagonista fosse in grado di recitare, cantare e suonare a livello professionistico. Molto carina l’ idea del gatto (Ulisse) che riesce a ritrovare la strada di casa, contraltare del protagonista che gira invece a vuoto. Immancabile la presenza del grande John Goodman, come al solito nei panni di un personaggio caricaturale sebbene stavolta in un ruolino di appendice.

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La vita è un tornare sui propri passi / 14 Giugno 2014 in A proposito di Davis

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

E’ un film atipico questo Inside Llewyn Davis, ultima fatica dei fratelli Coen. Atipico perché diverso in tanti aspetti se confrontato con gli schemi a cui ci hanno abituato i due registi americani.
Il protagonista è un personaggio dal futuro incerto, e con un rapporto travagliato con il suo talento. Llewyn è un cantante e chitarrista di musica folk, che nonostante ci venga mostrato mentre si esibisce umilmente su un piccolo palco, brama la gloria. Ma non come pensate voi. Non si tratta di un criminale senza scrupoli o di una canaglia. Egli è il più classico dei sognatori ed il suo pensiero è puro: vuole vedere la sua passione trasformata in lavoro e per ottenerlo non accetta compromessi di sorta. Per questo appare in alcuni tratti arrogante, perché questo personaggio è testardamente pretenzioso, vuole fare quello a cui tiene di più nel modo in cui desidera. Il peregrinare, l’insistere, il provare risulterà alla fine di tutto un viaggio a vuoto, che non porta da nessun’altra parte se non al punto di partenza (il finale-incipit). Si può solo sperare che, provandoci di nuovo, il risultato possa cambiare. E i Coen forse ci dicono di sì. La sequenza finale è perfettamente uguale a quella dell’incipit, tranne che per alcuni elementi. Il gatto rosso, che con la sua fuga iniziale aveva costretto Llewyn a inseguirlo, muovendo i primi fili della storia, questa volta non oltrepassa la porta. Un po’ come a dire “Forse stavolta non andrà come prima. Forse stavolta sarà tutto diverso, chissà”.
Questa pellicola non colpisce come le altre della coppia perché è assente quella fatalità semi-surreale che ha sempre caratterizzato le sceneggiature dei Coen, con alcuni elementi ridondanti (un’arma da fuoco, un cadavere, un evento talmente fortuito da apparire quasi impossibile). Ad esclusione del protagonista (seppur non eccelso, bravo Oscar Isaac), i personaggi sono lontani dagli originali modelli coeniani, risultando tutti un po’ anonimi e poco coinvolti nella vicenda generale, relegati più che altro a comparsate di breve durata. Sono elementi importanti che mancano alla pellicola e pesano. Non possono essere bilanciati dalla colonna sonora o dalla fotografia (per quanto positivi).
Rimane un film sulla parabola umana del voler prendere in mano la propria vita e trasformarla in un successo. Non tremendo a parer mio, ma meno incisivo e soprattutto più povero di quei grandi elementi che hanno sempre caratterizzato i lavori di questi due artisti e troppo lontano da quei canoni che mi hanno permesso di apprezzarli appieno.

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22 Aprile 2014 in A proposito di Davis

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

C’é questo sfigato con gli occhi da perdente e una chitarra, a New York, che canta il folk nei locali; e non ha una vita vera, ma nemmeno una finta, fa il tour dei divani di chiunque, perde i gatti di chi lo ospita, mette incinta le amiche, vuole altro da quel che ha, vuole ma non vuole farcela, lascia perdere. Amarezzità, come minimo. E intanto compie una specie di ennesima (per i Coen) Odissea, dentro se stesso e attraverso gli specchi dei personaggi che incrocia, e il riflesso risultantene, inseguendo un successo simile all’orizzonte. Grandioso attore è il gatto, indeed, si può dire sulle orme del cane di The artist; non si perdona la presenza di Justin Timberlake (cosa mai dovrà fare Justin Timberlake per farsi perdonare il fatto di essere Justin Timberlake?), si perdona e idolatreggia al solito quella di John Goodman, immobile e grasso sul retro della nave a ruote che sballottola il nostro Llewyn nel mare di quel che non trova. Un curioso falso loop di chiusura, infine, lascia momentaneamente imparpagliati e spersi, dando alla storia il senso di un ciclo che ciclo non è, e la lotta per qualcosa che scopo non è.

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Se non c’è una fine, manca il fine. / 30 Marzo 2014 in A proposito di Davis

Nella Metafisica dei costumi Kant distingueva tra “il prezzo di una cosa”, che è un valore relativo, e il “valore assoluto”, interno, o “dignità”, che spetta soltanto all’uomo in quanto persona esistente come fine in sé e mai come mezzo. Ma nella società del denaro tutto acquista un prezzo, e quindi anche l’uomo. Ma non è solo di questo rischio che sembra metterci in guardia la circolare storia di Llewyn Davis, quanto piuttosto quel nichilismo, quella perdita di ogni ricerca di senso che questo scenario, non tendendo a nessuno scopo se non all’autopotenziamento, dischiude. Che cos’è bello, giusto, vero e,in questo caso, cos’ è meritevole di essere ascoltato, sono tutti valori subordinati a cos’è utile, cos’è vantaggioso, dove la misura è il denaro, che, da mezzo per produrre mezzi e soddisfare bisogni, è diventato “il fine”, in vista del quale si producono beni e si soddisfano bisogni. L’espressione in questo caso non è del tutto appropriata. Il denaro infatti più che “elevarsi” a fine, ha “deposto” ogni fine. Di esso si può dire, proprio come l’andamento di questo film, che “il movimento è tutto, il fine è il nulla”. Nel suo movimento nessun oggetto riesce a valere per se stesso, ma acquista o perde valore nel processo. È noto che produzione e consumo sono due aspetti di un medesimo processo, dove decisivo è il carattere “circolare” del processo. Ma non è l’unico “circolo vizioso”. Di parallelo anche le vite di quelle persone che non riescono a rientrare tra l’inizio e la fine di queste catene di produzione, sono diventate dei circoli viziosi senza una fine. L’individuo è vittima di una diffusa mancanza di prospettive di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi. Così ci viene presentata la vita di Llewyn Davis: come un disegno di Escher dove, salendo o scendendo lungo i gradini di un sistema gerarchico, si ritorna inaspettatamente al punto di partenza.

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That’s Folk… / 24 Marzo 2014 in A proposito di Davis

Llewyn Davis è un musicista newyorkese che tenta il mondo della sua musica con evidenti scarsi risultati.
La sfortuna lo perseguita ma anche le sue colpe sono notevoli.
Il problema è che il mondo non è ancora pronto per la sua musica. Lo sarà a breve con il grande Bob Dylan ma per ora solo fallimenti.
Le musiche sono notevoli, il gatto FAVOLOSO, e anche lui è decisamente bravo.
Però…. manca quanche cosa…
Sembra incompleto, come se dovesse scattare qualche cosa ma non accade mai.
Non posso di certo dire che sia brutto ma consigliarlo non credo.
E’ uno di quei film che scorre ma ti lascia interdetto.
FATE VOBIS…
Ad maiora!

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9 Marzo 2014 in A proposito di Davis

Un film può contenere così tanta malinconia? Di quella rarefatta, che si scorge negli occhi dei protagonisti, senza che sia mai urlata, ma presente e tangibile perfino in una tempesta di neve o nell’espressione di un gatto che guarda fuori dal finestrino di una metro in corsa? Sì, un film può farlo, e bene, se sono i Coen a dirigere il tutto. Inside Llewyn Davis è un’opera incentrata sulla scena folk newyorchese degli anni 60, con protagonista uno struggente Oscar Isaac, il Llewyn del titolo, che tenta il successo col suo folk triste, sbattendo contro un muro di delusione e rifiuto di volta in volta. La struttura circolare del film, pienamente visibile nel finale, contribuisce smaccatamente all’atmosfera della storia narrata e della vita di un ragazzo che casca sempre in piede, come il gatto che si porta dietro ( tocco bellissimo quello di inserire un gatto, che tra l’altro è spesso protagonista di scene esteticamente e contenutisticamente perfette), ma ogni volta è sempre più precario, sempre più demoralizzato e vicino a mollare, pur con una certa dose di sarcasmo che lo salva dal mutismo depressivo e regala momenti comici e confortanti. Tanti nomi noti in piccole parti, bravi e incisivi (come Carey Mulligan, cinica, velenosa e completamente diversa da altri suoi ruoli, Garrett Hedlund, comico poeta di poche parole, Goodman, Driver, Timberlake e altri), OST ovviamente in tono e riuscita e una sopraffina fotografia autunnale, per una storia che narra elegantemente la convivenza tra genere umano e fallimento.

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16 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

Non il miglior film dei fratelli Coen ma comunque un’opera notevole, incentrata sulla musica folk come Fratello Dove Sei e sul protagonista eterno perdente come in Barton Fink e A Serious Man.
Grande fotografia, grande musica, attori eccelsi come al solito e una struttura narrativa molto particolare, complessa, che lascia spazio a molteplici letture in chiave allegorica.

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un’altra storia sbagliata / 15 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

il cinema nasceva coi fratelli Lumiere come ripresa diretta della realtà. eccoci quindi catapultati dentro un flusso di cose che appaiono vuote, prive di alcun senso e insegnamento etico/morale. quelle cose, tuttavia, che caratterizzano la nostra vita di ogni giorno. lo scorrere continuo della strada, l’ennesimo viaggio in treno, i mille caffè e le altrettante sigarette, i gatti rossi che sembrano tutti uguali, i risvegli sempre diversi e sempre uguali.. un’eterna caduta verso una fine che può arrivare in qualsiasi momento. senza alti e bassi dato che tutto alla fine, per quanto importante sia stato, diventerà sempre solamente un banalissimo ed imprendibile passato. i Coen propongono un’altro frammento di vite comuni; storie comuni per gente speciale; storie di perdenti, di uomini che non riescono ad adeguarsi alla corrente perciò divorati dalla società; uomini ligi al loro pensiero circondati da un mondo che continua a cambiare incessantemente e da persone che vanno e vengono in un baleno, spariscono misteriosamente; ognuno con la sua storia, con le sue stranezze e i suoi difetti, ognuno con i suoi viaggi e i suoi momenti dimenticabili che non varranno, significheranno più nulla se non nel presente che li ospita. ognuno artefice del proprio destino lottando contro le proprie resistenze, contro la propria presunzione e, perché no, contro la propria visione del mondo, uscendone quasi sempre sconfitto e continuando quindi a respirare e a sopravvivere perché, come diceva P.P.P. “credendo di raggiungere un fine si scopre la realtà così com’è, senza fine” e, aggiungo io, senza possibili logiche e necessarie spiegazioni. ecco Llewyn Davis: un’altro antieroe che non riesce a capovolgere i suoi insuccessi, che non farà di sicuro emozionare gli spettatori, se non attraverso le splendide dolci melodie chitarra-voce, ma che dovrebbe spingerli a riflettere sul loro vivere. d’altronde le vostre vite somigliano più a quelle proposte dai Coen o a quelle proposte da Tarantino, Scorsese etc.? (senza togliere nulla alla bravura di quest’ultimi, anzi)

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galeotto fu il gatto / 13 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

Dopo aver visto A serius man mi ero detta basta film dei Coen bros (ebbene si non venero il grande lebowski) ma questo gatto rosso è irresistibile come mi è molto congeniale la musica folk e allora eccomi li davanti allo schermo ( fato volle che arrivassi tardi e mi perdessi la scena iniziale che poi si ripropone alla fine).
Che dire? Come spesso mi capita con il Coen a fine visione borbotto tra me e me MMMMBHE? Belle riprese, attorri molto figosi ma per il resto che mi dovrei ricordare?
Un disincantato ma presuntuoso cantante folk che abbandona un gatto?
Un disincantato ma presuntuoso cantante folk che dovrebbe mettere due preservativi e avvolgerselo nel nastro isolante?
Un disincantato ma presuntuoso cantante folk che per pigrizia (ma anche per pesunzione) non becca un soldo dalle royalties?
Va beh queste cose le ricordo…. MMMMbhe?

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anche sette e mezzo / 13 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Molto bello, molto ben fatto, molto ben costruito. Un viaggio all’inferno (per i Coen l’inferno è in terra e dentro le proprie capacità, mi ha ricordato Barton Fink) in cui il fato non è così spietato, l’uomo lo è di più e lo è nella leggerezza delle sue decisioni (sintomatica quella del gettare i ricordi che tessono i legami famigliari e che alla fine gli pregiudicano il futuro), nell’ostinazione di non guardare oltre il proprio io (non mettere su il trio, non ci pensa minimamente neppure per un secondo), nella incapacità di cambiare (ha praticamente un abbonamento per gli aborti, perseverare è davvero diabolico e quindi non prenderà le royaleties del jingle di successo). Davis è un anaffettivo piegato dal proprio insuccesso che perde e lascia andare tutte le occasioni della vita incrociando una mirabilia di personaggi all-Coen, come il picchiatore sconosciuto, la coppia di professori e loro amici, il Goodman mefistofelico e sfatto di cui nulla si sa e di cui tutto si perde, come l’Abraham che mi sembra un Minosse dantesco, il giudice impietoso che gli offre uno spiraglio che lui, immancabilmente, lascia andare.
Sulla circolarità della storia: è una circolarità monca, cambia comunque qualcosa (lui canta una canzone in più), i piani temporali non sono allineati, mi sembra quasi che l’ineluttabile essere di Davis sia impermiabile al fatto che la vita, che è sempre ad un primo livello di lettura un po’ uguale, offra piccole variazioni.
Il gatto: non star assoluta, ma perno del personaggio di Davis, compagno di solitudine e essere metafisico come sono alcuni uomini e alcune donne nei film dei Coen, si moltiplica, ma non cambia indole, lui l’abbandona e non lo rincorre quando può (l’ennesima non scelta), ma autocitandosi i fratelli (Fratello dove sei? è Ulisse no?)lo fanno tornare a casa, serafico.
Il gestore del Gaslight si chiama Pappi Corsicato, ora, io dico

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11 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

IInside Llewyn Davis.
Ehi, Ehi, mettiamo dei mici. I mici piacciono a tutti
-I Coen Bros-

A tutti, tranne al Don

Allora, veniamo al punto.
Goodman, o lo usi bene o lo lasci da parte.
Forse la colpa è la mia, ultimamente sono sotto esame e sono difficilmente accontentabile. Prima la notizia cattiva: mi è sembrato un film campato in aria con vari punti morti ma soprattutto che lascia aperte una serie di questioni: che fine fa l’amico suo tenebroso dal baffo matto che viene arrestato in viaggio ? Ma poi la citazione al bambino di due anni, il figlio di Davis, serviva ?

E John Goodman o lo usi o non ce lo metti nel ca**o di cast. Bel gatto comunque, che razza è ? A ogni modo, l’ultimo film dei Coen Bros è una pellicola incentrata su una figura pittoresca, un mezzo italiano mezzo gallese mezzo americano (1,5 insomma) che fa folk. Siamo a New York, 1961.

Fa freddo e Llewyn Davis è un cantante folk il quale ha puntato tutto sull’arte. Non guadagna una lira ma è felice. Ha messo incinta una ragazza del suo migliore amico ma è felice. Ma poi siamo sicuri che l’ha messa incinta lui ? Che bella l’America. Il suo partner musicale si è suicidato gettandosi da un ponte, felicità. il suo album solista non vende. Vive la sua vita come un nomade con la valigia in mano passando da casa in casa e rinfacciando alla sorella di come sia figa la vita d’artista.

Sentendo il parere Daniel Dovico, (fan della Niente Popcorn nonché esperto di folk), nella pellicola in questione non c’era nulla di quell’epoca, di quell’ambiente, di quella scena musicale. Secondo IL DOVIC quello era il Greenwich Village senza il Greenwich Village. Forse i Coen sono troppo postmoderni per restituire quel genere di atmosfera ?

Personalmente non posso parlare, non la conosco bene la scena del Greenwich Village ma per quanto il personaggio principale sia pittoresco e rocambolesco, per quanto il film abbia la componente e l’atmosfera “Coeniana” (solo in parte), le tipiche battute secche e per quanto surreali possano essere una serie di personaggi, io non so se il film lo suggerirei. Se c’è una morale l’ho persa di vista ma forse devo darmi alla caccia al chupacabras e ve l’ho detto che ho una bella mira ? Forse non è la passione che fa per me o forse vi state fottendo il cervello voi. A ogni modo la gatling è una gran bella arma.

E comunque John Goodman o ce lo metti per bene o lo togli dal ca**o di cast. Non lo fai entrare ed uscire senza nessun proposito, se non per fare qualche battuta surreale nello stile riconoscibile dei Coen. L’unica cosa che salvo è la regia pulita ma la trama ha buchi da Groviera. Bel gatto comunque, che razza è ?
I gattini sono pucciosi *_* . I Coen avranno dato un’occhiata a tutte le foto di gatti su facebook e hanno avuto la genialata.

Dovico pensiero finale.
Comunque quando ho visto il tizio che viene arrestato in macchina ho pensato: questo è una specie di Neal Cassady de noantri messo lì per fare il figo tenebroso. Poi mi sono reso conto che effettivamente quel tizio aveva interpretato Neal Cassady in On The Road con Kristen Stewart.

DonMax

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“Se non è nuova e se non invecchia mai, allora è una canzone folk…” / 11 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

Per chi apprezzi la vecchia musica folk acustica anni ‘60 cosa ci può essere di meglio che un film diretto da Joel e Ethan Coen e liberamente ispirato agli esordi di Dave Van Ronk ?
Ancora una volta in primo piano personaggi appartenenti al mondo preferito dai due grandi fratelli , quello dei perdenti , con un eccellente Oscar Isaac oltre che un’ottima colonna sonora nella quale ho molto gradito la ballata “The death of Queen Jane” e il coro “a cappella” dei quattro cantanti in maglione bianco.

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10 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

La cosa peggiore che possa capitare a chi apprezzi la magia che si crea davanti al megaschermo di una sala da cinema è che una banda di ragazzetti idioti passi tutto il tempo a masticare rumorosamente popcorn, scaccolarsi, ridere come maiali e commentare ogni cosa che accada nel film. La situazione è la stessa anche quando al posto dei ragazzetti c’è una (neanche troppo) anziana signora impellicciata dalla testa ai piedi, incartapecorita e grinzosa come una prugna su cui sia stato steso un doppio strato di rossetto rosso smagliante…E se la suddetta signora, dopo aver prodotto i commenti più cretini dell’universo, si prende pure la briga di rispondere al cellulare il livello di ira sale oltre i limiti consentiti dalla legge…
Sbuffare in continuo e guardarla con occhi furenti non è servito a nulla…come neanche chiederle di smettere (dentro da un orecchio e fuori dall’altro)…ma immaginare Tyson che boxava con la sua faccia fino a farle saltare i denti..ops! la dentiera…in un tripudio di applasi è stata una fantasia catartica…
tralaltro alla maledetta vecchiaccia è pure uscito un giudizio finale: “piuttosto insensato sto film”…cioè, dopo aver rotto i c….i per un’ora e mezza….
riprendo la calma, tranquillizzo il tyson che è nella mia testa (che ormai ha ridotto la vecchia ad un ammasso di carne Simmenthal) e ci penso un secondo…perchè dice che sia brutto?
perchè non ci vede uno scopo…beh in effetti, il film racconta la storia di un uomo qualsiasi, del suo peregrinare casuale, di un bighellonare randagio di casa in casa, senza uno sguardo al futuro, senza una prospettiva che non sia la fiducia nelle sue capacità (mai veramente definite superiori a quelle di chiunque altro, mai davvero celebrate) e la fede (a volte vacillante) nella sua “vocazione”…
Una settimana in cui non succede nulla..qualche audizione, una presunta paternità, un viaggio…La storia di LLewyn Davis è ispirata a quella di Dave Van Ronk ma Davis è un musicista “comune”, uno dei tanti che hanno creduto nel folk e che ci hanno provato..qualcuno è riuscito, qualcuno no…Il seguito della sua storia è La Storia..I Coen costruiscono intorno a quest’uomo un universo di perosne che tratteggiano con il loro stile e la loro ironia, non solo a livello caratteriale ma fisico (si veda il manager o anche lo stesso personaggio di Goodman)…Davis è un pò l’uomo senza particolari qualità (è pure un pò sbruffone) ma che ha aggiunto il suo tocco personale all nascita di un genere che poi con personaggi come Dylan ha segnato la storia.
Carino dal punto di vista della fotografia e con una buona colonna sonora ha in Oscar Isaac e John Goodman gli interpreti migliori (il primo come protagonista, il secondo in un cameo)..Incolori Carey Mulligan, Timberlake e Garrett Hedlund (che fa queste parti da figo in maniera così sfacciata da far ridere)…
Non è il miglior film dei Coen ma non è neanche il peggiore…

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Sfuggente. / 9 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

C’è qualcosa di questo film che mi sfugge.
La circolarità della storia, forse, mi aliena dal senso più profondo del vagare senza alcun apparente costrutto di Llewyn.
L’ingiustizia nei confronti del suo talento, forse, mi rattrista, ma non apprezzo neppure il suo parassitismo, la sua figura di martire artistico.
La ricerca della “curiosità”, perpetrata a più riprese (vedi il personaggio interpretato dal mastodontico Goodman, per esempio) e supportata da un turpiloquio gratuito che non conoscevo ai Coen in questa misura, forse, non mi ha incantata (ho trovato comunque divertente il fatto che la sorella del protagonista sottolineasse questo particolare, redarguendo Llewyn circa le sue espressioni troppo colorite).

Non ho compreso la funzione della fotografia desaturata, se non finalizzata ad un semplice vezzo estetico. Né ho afferrato completamente il “valore” della figura avvolta nell’ombra che apre e chiude il film.

Di questa pellicola, a caldo, mi resta quindi ben poco: alcune facce azzeccate (la segretaria del discografico, per esempio), Oscar Isaac decisamente interessante (prima d’ora, per me, era un perfetto sconosciuto, anche se ha recitato in pellicole che ho già visto), un gatto (o più gatti, non ho verificato) meraviglioso e, se piace il genere (e a me non dispiace) il folk a stelle e strisce, è ben rappresentato da una serie di brani dal testo dolente e da una melodia orecchiabile.

Cosa hanno voluto dire i Coen, stavolta? Cosa?
L’irresolutezza dei tentativi “duri e puri” del protagonista, pur essendo ammirevoli (la scena del provino con Bud Grossman è particolarmente significativa), non lo riscattano (ai miei occhi) da una certa abulia, per cui non sono stata intrigata, incuriosita o interessata dalle sue vicende.
Se dovessi dividere un’ideale lavagna in “Coen Buoni e Coen Cattivi “, purtroppo, questo film accompagnerebbe nella colonna di destra, seppur con un certo distacco, A serious man.

P.s.: il gatto si chiama Ulisse come il protagonista di Fratello, dove sei?, anch’egli interprete folk come Llewyn, e vive anche lui una piccola Odissea. Ma tu guarda l’autoreferenzialità.

P.s.2: il proprietario del Gaslight si chiama Pappi Corsicato. Ancora un po’ e casco dalla poltrona.

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Oh, if I had wings… / 8 Febbraio 2014 in A proposito di Davis

Ci sono momenti in cui vivere sembra intempestivo. Momenti in cui la società appare annebbiata, stretta, imperscrutabile, in cui ogni azione ti si ritorce contro come un boomerang. Ci sono persone che si lasciano trascinare alla deriva. E poi ci sono i Llewyn Davis: quelli che guerreggiano, che tallonano un’aspirazione, una destinazione, una luce.

In una New York appannata, soffusa e Locus Amoenus della disfatta del sogno americano, un disilluso cantante folk (uno spettrale e conturbante Oscar Isaac) anela alla sua resurrezione dopo la perdita del fratello, ritrovandosi durevolmente ricusato: dalla sua ex ragazza, dalla sorella, dal produttore discografico, da un amorevole gattino raccattato per strada. La musica è l’unico strumento di vita che gli rimane. Ma anche i suoi testi autentici e viscerali che gli ribollono nel profondo (in quell’Inside del titolo originale) vengono scartati a favore di canzonette pop approssimative e superficiali -una piacente Please Mr. Kennedy candiata al Golden Globe per la miglior canzone-.

Mai i Coen si sono mostrati così amari, inclementi ed accigliati. Dimenticate il black humour che stagnava nelle loro vecchie pellicole, qui (quasi) tutto è tangibile e impenetrabile; si vorrebbe solamente dimenticare e spiccare il volo. “Oh, If I only had wings…”.

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