Infanzia clandestina

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Infanzia clandestina

1979. Dopo essersi rifugiati a Cuba, Cristina e Horacio decidono di tornare nella natia Argentina per combattere contro la dittatura militare che governa il Paese. Testimone delle vicende dei due coniugi è il loro figlio dodicenne, Juan, che mentre i suoi genitori tentano di rovesciare il regime si innamora di una compagna di scuola.
schizoidman ha scritto questa trama

Titolo Originale: Infancia clandestina
Attori principali: Natalia Oreiro, César Troncoso, Teo Gutiérrez Moreno, Violeta Palukas, Ernesto Alterio
Regia: Benjamín Ávila
Sceneggiatura/Autore: Marcelo Müller, Benjamín Ávila
Produzione: Argentina
Genere: Drammatico
Durata: 112 minuti

Dove vedere in streaming Infanzia clandestina

22 Settembre 2013 in Infanzia clandestina

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Perché poi, va detto, è il periodo. Il periodo in cui quelli che erano ragazzini sotto le dittature sudamericane degli anni ‘70 sono finalmente diventati grandi, e registi, e hanno messo insieme l’esperienza e l’età giusta per raccontare la loro storia. I mean, e farcelo sapere. Da quanto aspettavano questo momento, quale poteva essere la loro urgenza di dire e raccontare agli altri, a noi, a tutti. La loro storia che si innesta sullo sfondo storico di morti e repressioni e fascismi di varia natura, e paura. Magari fra 10/15 anni verranno fuori tutti insieme numero enne film di giovani registi più o meno dell’ex Unione Sovietica, che racconteranno la LORO fase di passaggio, da qui a là, la LORO visuale di fatti storicamente enormi, che sui libri di storia annullano le vicende individuali nella cronologia di date e persone. Questi film vanno forzatamente a formare un genere a sé, tanti sono i caratteri simili e le situazioni inevitabilmente ricorrenti. E questo non fa eccezione.
La storia, e la memoria personale degli autori, sono le variazioni sul tema. Qui sono eventi circa accaduti al regista da pischello (tallà!). Argentina, è cascato Péron (e anche Madonna non è che stia poi così bene), i genitori di Juan, guerriglieri di non so più cosa marxismo rivoluzione giù per di là, sono scappati e poi rientrati clandestinamente nel paese, per lottare dall’interno. Altrettanto clandestinamente devono vivere, nella casa dello zio Beto, un simpatico esemplare di gaucho Mr. Satan di Dragonball. Mr. Satan deve essere proprio un archetipo, ci sono un sacco di persone (e personaggi di film) che io vedo uguali a Mr. Satan:/ La loro copertura è in una casa dove si impacchettano noccioline tostate al cioccolato, per cui pistole e noccioline come se piovesse. Ma Juan, che a scuola si chiama Ernesto dal nome del Che, invita gli amici per la sua festa di compleanno (fittizia, dico, non il suo compleanno, quello di Ernesto), e si innamora di una (e figurati…), e a poco a poco riscopre la normalità; ma non può, perché la sua famiglia rebolucionaria normale essere non può, e finirà strattonato dalle due parti, nell’impossibilità di poter accontentare sia se stesso sia gli amati genitori. I quali, ovviamente, moriranno tutti. Scappano, e lui prova a spiegarle, ma lei non può capire. Tornano, i genitori sono pizzicati uno dopo l’altro dai fasci, prima il padre dalla faccia squadrata e con gli occhiali squadrati, poi la madre almost gnocca. L’approfondimento sull’impossibilità di essere entrambe le cose, normale e clandestino, è la qualità originale interna alla vicenda di formazione di Juan, risultando in una sceneggiatura che vede, dagli occhi del suo protagonista, il precipitare di una situazione sulla quale lui non ha alcun controllo, la follia dei grandi, sia i buoni che i cattivi, e mostra lo smarrimento che in quegli occhi si produce.

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Rabbia clandestina / 4 Aprile 2013 in Infanzia clandestina

Mi chiamo Ernesto Guevara, detto El Che, e ho fatto una scelta di vita per il bene della nazione e del popolo.
Uno può essere allineato con il suo modo e stile di vita ma è la sua e paga le sue scelte “di persona”.
Qui Juan ha la SFORTUNA di nascere in una famiglia rivoluzionaria dove sia il padre che la madre fuggono per non essere presi e “probabilmente” (non svelo nulla) uccisi dalle forze dell’ordine argentine. Juan, che ha anche una sorellina piccola, forse di neanche 2 anni, vive nella clandestinità COSTRETTA dai genitori e vive una vita non sua, con un nome non suo (Ernesto), un compleanno non suo, tutto non reale ma i sentimenti e la sua vita a scuola, con i compagni e con i primi amori lo sono. Poi ovviamente la situazione degenera e il dramma è scontato. La follia e la rabbia deriva dalla scelta di voler condizionare la vita dei figli alle decisioni assurde e irresponsabili dei genitori. Ripeto: sei Che Guevara? Ok. Fai della tua vita quel che vuoi. Ma non hai figli e non condizioni nessuno. Qui invece l’egoismo e la follia porta ad avere addirittura 2 figli la cui vita è totalmente segnata in maniera drammatica.
INACCETTABILE!!!
Il film è bellissimo e visto con i sottotitoli è ancora più sentito.
Juan (Ernesto) è bravissimo ma come tutti gli altri.
“Non capisco niente di quello che dici, ma è bello lo stesso” che bella l’adolescenza.
Condizionarla è un delitto!
Ad maiora!

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Vie di fuga / 7 Marzo 2013 in Infanzia clandestina

Mi chiamo Juan, ma per tutti sono Ernesto, Ernesto Estrada. Ho 12 anni, solo 12 anni, ma già conosco il dolore, la tristezza, la paura, la crudeltà e la morte. Io e la mia famiglia, braccati, inseguiti, siamo ombre nell’ombra, senza profilo, senza punti fermi, foglie morte nella corrente.

La mia vita era stata ed è adesso pressappoco quella che si può immaginare, non occorre spenderci troppe parole, è sufficiente un solo aggettivo: estraneo. All’amicizia, alla felicità, all’amore. Sì, anche all’amore.
Ma adesso, quando tutto è finito, adesso che non ho più legami di alcun tipo, voglio bruciare tutti i ponti, cancellare il passato. Così avrò finalmente un nome, il mio nome, “metterò la testa a posto, andrò avanti, già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi, avrò un lavoro, una famiglia, il maxitelevisore del cavolo, la lavatrice, la macchina…., tirando avanti, lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai”.

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