Recensione su In the Cut

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18 Agosto 2013

Recentemente ho letto una recensione di un’utente (non ricordo chi e su quale film, chiedo venia) che era un po’ sca**ata per la tendenza a paragonare un film al libro da cui è tratto e (solitamente) trovarlo più brutto. Potrei anche essere in parte d’accordo con il suo pensiero, anche se viene spontaneo aspettarsi qualcosa da una storia che, sulla carta, ci è piaciuta. Io stessa trovo quasi sempre (anzi senza quasi) più bello il libro, ma già lo so e non mi aspetto miracoli dal film. Ma in questo caso una cosa proprio non mi è piaciuta: perché prendere un libro in cui una volta tanto c’è un finale non scontato e non banale, e cambiarlo? (Non vi dico niente di più, casomai decideste di leggere il libro, uscito in Italia col titolo “Dentro”)

3 commenti

  1. signormario / 18 Agosto 2013

    Logiche delle Case di Produzione, che sacrificano l’arte sull’altare del profitto. Cosa ama il grande pubblico? Sempre le solite cose rassicuranti: dare nuova linfa può essere un’arma a doppio taglio, perchè lo spettatore medio si turba se tutto non va secondo i binari preconfezionati..
    Detto ciò, non ho letto il libro, ma sono tra i pochi a cui ”In the cut” è piaciuto, se non altro per le splendide regia e fotografia.

    • wazovski / 18 Agosto 2013

      Sì, sì! Ricordo che ci fecero anche un film (forse “I protagonisti” di Altman?) in cui un regista non voleva modificare il finale del suo film ma la produzione gli impose il “lieto fine” o non gli avrebbe dato i finanziamenti. Alla fine il regista ovviamente capitolò! E comunque mi rendo conto che “la massa” preferisce sempre il finale consolatorio, sono io quella “sbagliata”.

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