26 Maggio 2014
Storia di gente che non ha un ca**o da ballare in Puglia. L’azienda tessile di famiglia chiude, il fratello (ma di chi?) se ne va in Svizzera. Restano Adele, con la madre Salvatice perennemente chinata a 90 nei campi (no ma non era una cosa sconcia), la figlia stustustipida a cui non si riesce a non guardare le tette (sì, questa sì :/), la sorellasferica wannabe actress e lei incarognita e dura e cattiva, che tutto e tutti insulta in continuazine. Più la partecipazine staordinaria di… Beppe Grillo (name’s Crocefisso). O come se. Sommersi dai debiti, se ne vanno a vivere in campagna (ah-ha!), a coltivare rapanelli e ricominciare. Con un generatore, e la notte e la luna e il velo di nuvole inquadrate dai cactus che tagliano il vento. Oh, uao. Rapidamente il film vira al femminile, con le tre generazioni e le relazioni, l’armi, gli amori e i dolor, whatever, che compressi dalla situazione di c’èccrisi esplodono e si ricompongono, negli scontri degli egoismi e delle personalità. Il regista, che si segnala per il suo cognome innegabilmente assai buffo, è anche marito della protagonista principale, e lei e quasi tutti gli altri sono attori molto poco professionisti che riescono alla campagnola a rendere la vita da strapaesino che a pensarci affascina e spaventa, e i suoi riti e ritmi, piccolezze e solidarietà.
Il povero Stefano, una specie di maestrino rompiscatole e l’unico a cercare di abbattere l’armatura arcigna dell’espressione di Adele, resterà tutta la vita chiuso fuori ad aspettare, accarezzando micetti. Che invecchieranno e moriranno e lui sarà ancora lì, ad accarezzare scheletri di vecchi gatti. Diamogli questo, agli americani, altro che le grandi bellezze. Dei pugliesi che coltivano finocchi! Fuck yeah!
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