Didascalico / 30 Maggio 2022 in Il vizio della speranza

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ne Il vizio della speranza, ancor più che in Indivisibili, De Angelis disegna un mondo che è qui, ma è curiosamente altrove, nel tempo e nello spazio.
Il film è girato a Castel Volturno, nel tristemente noto Villaggio Coppola e dintorni, un luogo di speculazione, crimine, abbandono e sfacelo che, naturalmente, si presta ad accogliere storie incredibili di degrado fisico e morale.

Però, la risoluzione cinematografica del film di De Angelis è tanto ampiamente didascalica da essere aleatoria e stucchevole: una protagonista femminile di nome Maria (Pina Turco), vergine perenne dopo una violenza indicibile, è incinta non si sa di chi/non si sa perché e, infine, si prepara a dare alla luce la sua creatura in una catapecchia, assistita da un padre putativo (Massimiliano Rossi) ben più anziano di lei.
Mi sembra che, combinato al valore simbolico di ri-nascita e (come da titolo) speranza assunto (anche) dal neonato, il parallelismo evangelico sia fin troppo chiaro, ma, francamente, sciapo.

Al di là di quanto detto sopra, Il vizio della speranza, che annovera la presenza di Umberto Contarello come co-sceneggiatore, tende perlopiù al melodramma, ma sacrifica buoni spunti narrativi (vedi, il senso di distopia incombente correttamente miscelato con la cronaca reale) a favore di una insistita ricerca estetica un po’ fine a se stessa che, in altri contesti cinematografici molto simili (vedi, il pressoché coevo Dogman di Matteo Garrone, ambientato in un contesto sociale e architettonico fortemente analogo a questo), mi pare che abbia trovato maggior compiutezza e ragion d’essere.

Cinque stelline e mezza.

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