12 Giugno 2013
Si apre così una riflessione tra l’uomo e il suo tempo, o meglio tra lo spettatore e l’espressione della contemporaneità che lo circonda. E’ questo per me un tema molto caro, forse l’elemento di base e filo conduttore del mio tentativo di recensire. Estremamente cosciente del fatto che le chiavi di lettura sono molteplici e talvolta non univoche nemmeno nello stesso film, cerco di intravedere il film con gli occhi di oggi, non con quelli di ieri, sarebbe uno sforzo inutile e non giusto. L’impianto della regia e della sceneggiatura è a dir poco teatrale, la telecamera si muove raramente e le scene sono spesso impostate e statiche, così da riuscire a mostrarci la poetica teatrale in un tema che si presta molto a romanticismi: il medioevo e la morte. E’ così che ci ritroviamo in scena una piece di stampo classico, ma non per questo poco affascinante. Sotto questo timbro stilistico si dispiega un protagonista che nei suoi ultimi giorni di vita intraprende l’ultimo viaggio per comprendere meglio il suo essere, e riscoprire una speranza che vacillava dinanzi al nero mietitore, grazie alla semplicità di una coppia di saltimbanchi. Il film è bello, ma risulta circoscritto se rivisto oggi, tempi in cui la fede è per pochi, e i percorsi già battuti non sembrano dare le risposte sperate. La scena in cui il fabbro discute con la moglie e l’amante-saltimbanco davanti alla carrozza è veramente esilarante e di spessore.

“l film è bello, ma risulta circoscritto se rivisto oggi, tempi in cui la fede è per pochi.”
Penso che rovesciando il problema il film possa risultare più efficace: come un tempo era difficile dirsi atei, così ora è difficile dirsi credenti.
Interessante quesito in effetti