Pastrocchio / 10 Settembre 2020 in Il regno

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il regno è l’esordio al lungometraggio di Francesco Fanuele, qui regista e autore della sceneggiatura (scritta in coppia con Stefano Di Santi, su soggetto di Bernardo Pellegrini).
L’idea è simpatica e, alla lontana, ricorda quella di The Village di Shyamalan: una comunità si ritira in un luogo ameno e conduce una vita senza tecnologia, lontana dal resto del mondo, per motivi “ideali”.
Ma le cose azzeccate si fermano qui.

Perché Il regno è un pastrocchio che, dal canto mio, merita due stelline solo per la presenza di Stefano Fresi e Max Tortora, che hanno la giusta verve per interpretare i rispettivi personaggi.
Per il resto, tutto latita.
In primis, mancano una accattivante descrizione dei personaggi e una parvenza di logica (per esempio, quanto è ampio questo “regno”? Possibile che nessuno, neppure i confinanti, ne conosca l’esistenza? Esattamente, di cosa campano i villici? Non allevano niente, non sembrano coltivare campi… Forse, raccolgono della frutta e, ogni tanto, cacciano fagiani e cinghiali, ma…).
Anche le scelte di stampo storiografico lasciano perplessi: in teoria, il regno è regolato dalle usanze dell’anno 1000, ma (pur escludendo l’inaccuratezza dei tessuti usati per i costumi, altrettanto fantasiosi) ci sono un sacco di deroghe, a partire da un pianoforte a coda che fa bella mostra di se in una stanza del casale, passando per un uso disinvolto delle forchette (che, nell’XI secolo, avevano appena iniziato a diffondersi in Europa), finendo con barili di plastica e tetti di lamiera nel villaggio.

Al di là dei dettagli di colore, che potrebbero essere stati limitati dal budget e su cui soprassiedo bonariamente, è la struttura narrativa ad avermi delusa. Fresi è bravo e ci mette del suo a rendere simpatico un personaggio altrimenti impalpabile. Però, non capisco perché il suo Giacomo debba prendersela con la povera Ofelia (sprecatissima Silvia D’Amico) nel modo crudele che viene mostrato nel film. Anche la sorellastra Lisa (Fotinì Peluso) è un personaggio insoluto.
Non ho capito neppure l’astio del padre nei confronti del piccolo Giacomo: il prologo, affidato a un’animazione sui titoli di testa, non mi ha chiarito i motivi per cui l’uomo abbia deciso di allontanare da se moglie e figlio. Forse che voleva vivere con un’altra donna (forse, la madre di Lisa)?
Allora, le immagini che ritraggono Giacomo in visita da quello che potrebbe essere un dottore a cosa si riferiscono? Per un attimo, ho pensato che Giacomo avesse dei problemi fisici o mentali di cui il padre non voleva farsi carico, ma, a quanto pare, non è così.
Mah.

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