Recensione su Il Primo Re

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Gangs of Roma / 4 Febbraio 2019 in Il Primo Re

Il Primo Re di Matteo Rovere rappresenta il ritorno del cinema italiano al film di matrice storico-epica che tanto successo ebbe nel nostro Paese negli anni Sessanta, con i peplum e le produzioni “di massa” in costume di Cinecittà.

Il film di Rovere, però, usa il tema storico con uno spirito (r)innovatore: Il Primo Re, che tratta della fondazione di Roma, rifugge da ogni elemento “romantico” o idealizzato, per mettere in scena un racconto di sopravvivenza in cui ha un ruolo fondamentale la concezione dell’ignoto e della divinità intesi come elementi permeanti di una cultura legata in maniera inscindibile ai “capricci” della Natura e ai segni e ai simboli che da questi derivano.
L’uso del latino in una forma pre-classica (non so quanto fedele al vero latino arcaico, ma, francamente, non importa) immerge il film in un’atmosfera sospesa tra il fantasy (vedi, la lingua elfica di Tolkien usata nei film di Peter Jackson, per esempio) e un tentativo di ricostruzione storiografica sufficientemente credibile (posto che, compreso il fatto che non si fa accenno alla natura nobile e semidivina di Romolo e Remo, non ho idea di quanto possa essere davvero attendibile), creando un ibrido efficace e stimolante sia a livello concettuale che visivo.

Il film di Matteo Rovere è crudo e violento come è logico credere fosse la vita nel Latium vetus dell’VIII sec. a.C.: Il Primo Re non è il racconto edulcorato di una bucolica società agropastorale. C’è spazio per i sentimenti, ma si tratta sempre di moti d’animo squassanti, in linea con lo spirito generale della storia.
La sceneggiatura di Rovere, Filippo Gravino e Francesca Manieri si concentra sull’evidente dualismo esistente tra i fratelli Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi, ottimo). Bilanciando in maniera interessante il peso narrativo dei due, viene dedicato molto spazio all’evoluzione di Remo, giocoforza il personaggio più interessante e complesso della vicenda. Il Remo di Borghi è un antieroe che, in un arco temporale estremamente ridotto, muta pelle almeno tre volte nel corso del film, mostrando le vette che è possibile raggiungere cavalcando la vertigine del potere. Al contrario, il Romolo di Lapice è così lineare e “passivo” da suscitare ben poca empatia, nonostante il suo ruolo storico fondamentale.

Nel complesso, Il Primo Re è un buon film, tecnicamente validissimo, che ha i suoi punti di forza nelle scene dinamiche, di lotta. Come aveva già dimostrato con Veloce come il vento, Rovere ha un respiro cinematografico molto ampio e ha la capacità di rileggere i generi con sapienza, proponendo al pubblico storie accattivanti ma non troppo retoriche o indulgenti. Volendo azzardare un paragone ardito, Il Primo Re mi ha ricordato Gangs of New York di Scorsese: per quanto una città/cultura diventi “grande”, non può prescindere dalle sue origini molto terrene e ben poco divine, fatte di sangue, fango, morte (la fotografia di Daniele Ciprì esalta molto bene il carattere mortifero dell’ambiente in cui si svolge la vicenda: tra nebbie e ombrosi contesti fluviali e lacustri, il Lazio rappresentato ha caratteri d’oltretomba). Roma è nata per seminare terrore (Romolo dice: “Saremo la paura, il terrore che non fa dormire la notte” e Remo, semplicemente, apprende e mette in pratica, dando origine al più grande impero politico e militare della Storia).

Il film non è esente da difetti (a tratti, sembra pensato a livello narrativo come una sequenza in slow motion, con passaggi al ralenti e repentine accelerazioni, incidendo sulla scorrevolezza di alcuni passaggi, forse un po’ reiterati), ma il risultato finale è decisamente positivo e conferma l’apertura del cinema italiano a nuovi scenari e validissimi esperimenti.

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