Recensione su Il più bel giorno della mia vita

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28 Aprile 2013

Davvero un bel film, con una profonda analisi delle dinamiche familiari. In nessun posto come in Italia il cinema si preoccupa tanto di quel microcosmo che è la famiglia,sottolineandone ora gli aspetti più bestiali, ora quelli più ironici e divertenti. In questo film, l’attenzione è posta sulle cose non dette, sulla superficialità dei rapporti che lega i vari membri, sull’attaccamento ai ricordi. In questo caso però, si assiste ad una progressiva apertura, come la confessione del figlio alla madre di essere gay, l’ammissione della fine dell’amore che legava Rita al marito, confessioni che porteranno anche Irene a mettere in discussione tutta la sua vita e ad andare oltre la facciata. Un film semplice solo in apparenza,come le vite dei protagonisti, gradevole e senza tempi morti.

7 commenti

  1. yorick / 28 Aprile 2013

    “In nessun posto come in Italia il cinema si preoccupa tanto di quel microcosmo che è la famiglia,sottolineandone ora gli aspetti più bestiali, ora quelli più ironici e divertenti.”

    Mi permetto di dissentire. Ci sono film stupendi che hanno al proprio centro la famiglia, che viene analizzata in modo per niente banale e, anzi, parecchio interessante, lucido e disincantato, spesso con toni edificanti, spesso con toni disillusi. “Családi tüzfészek”, per esempio, è un capolavoro del genere, e non è italiano ma ungherese (il regista è Béla tarr). Poi, vabbé, si potrebbero citare i titoli più disparati, come per esempio il “Kynodontas” di Lanthimos (greco).

  2. Stefania / 28 Aprile 2013

    Anch’io penso a film stranieri che trattano in maniera ugualmente interessante, ma differente il tema della famiglia. D’impulso, mi viene in mente che, in maniera molto estrema, perfino il recente Killer Joe di Friedkin l’ha fatto e con un registro, poi, che in Italia, forse, non oseremmo usare mai.
    Tratto ricorrente nei film italiani, però, è il costante senso di unità che si tenta di dare al nucleo famigliare per caratterizzarlo: sarà per costituzione psicologica, per tradizione, non so, ma in Italia tendiamo ad identificare la famiglia col nido tout court, senza quasi osare immaginarlo come un microcosmo spesso alienante. Le “bestialità” sembrano sempre “relative”, la famiglia è sempre la cuccia in cui tornare (d’istinto, che ne so, tra i titoli più noti degli ultimi dieci/dodici anni, penso a Ricordati di me di Muccino, Non ti muovere di Castellitto, La nostra vita di Luchetti, Non pensarci di Zanasi, La prima cosa bella di Virzì che, pure, ho apprezzato).
    E quando la famiglia non c’è, allora viene creato un complesso parentale fittizio (vedi, Ozpetek) che ne riproduca le dinamiche, sovente solo quelle positive.
    Ovviamente, mi sto imbarcando in un discorso ovvio e banale di cui, però, la cinematografia italiana mi pare non tenga spesso in conto: non tutte le famiglie, infatti, sono unite o accoglienti o accomodanti, e così via.
    Un raro esempio di pellicola che, in Italia, ha messo in scena le ipocrisie che si celano dietro le famiglie cinematografiche italiane, per me, è Parenti serpenti di Monicelli: cinico e lucido, usa gli stereotipi (positivi e negativi) in maniera sopraffina.

  3. allan / 28 Aprile 2013

    Attenzione, non ho affatto detto che il cinema estero non tocchi questo tema, ma che in Italia è uno dei più celebrati! Sono d’accordo con quanto dice @stefania, ovvero il senso di unità e l’idea del nido che ci contraddistingue, e anche il discorso su Parenti Serpenti ;)….altre “famiglie bestiali” che mi vengono in mente sono quella di “Io loro e Lara” di Verdone, la scombinata famiglia de “La Kryptonite nella borsa”,e quella di “Pane e Tulipani”,dove sono sempre presenti l’ipocrisia,l’insofferenza,i segreti,e amanti 🙂

    • yorick / 28 Aprile 2013

      Ma non è vero che l’idea del nido ci contraddistingue: “Családi tüzfészek”, guarda caso, significa “Nido familiare”, e ripeto che è un film di Béla Tarr, dunque ungherese e non italiano. Lo stesso “Melancholia” di Lars von Trier (vedi scena finale) intuisce la famiglia come nido, così come è intuita in “Antichrist”, sebbene in termini totalmente diversi. Quella del microcosmo alienante, invece, è una tematica importante, e su due pieni mi viene in mente l’ultimo di Larrain, “No”.

  4. allan / 29 Aprile 2013

    …ho detto che in Italia è un tema che va forte,ed è decisamente più presente che nel cinema estero,questo non vuol dire che lì non venga trattato :/…e poi è comunque rappresentata in due modi diversi,una cosa è il “nido” in Melancholia,e un’altra è quello de “La prima cosa bella”…secondo me in Italia c’è una visione della famiglia del tutto unica,per quanto gli stessi temi vengano affrontati da registi di tutto il mondo.. meglio se dico così?

    • yorick / 29 Aprile 2013

      @allan, ma è questo che non capisco, cioè la settorializzazione che fai. D’accordo – e ovvio – che in Italia la famiglia venga percepita in una determinata maniera, ma è normale, siamo in un contesto nazionale (nel senso di nazione, cioè di popolo con una cultura in comune), così come nei film meridionali la famiglia è rappresentata x, mentre in quelli nordici y. Spesso varia persino da regista a regista. La nazionalizzazione di una cosa come la famiglia, questo non capisco. Così come la bipartazione Italia/resto del mondo, quasi che quest’ultimo sia un unicuum non nazionalmente/culturalmente/- eterogeneo.

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