Recensione su Il pianista

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Lo spettro di Varsavia / 4 Gennaio 2017 in Il pianista

Come avvenne per Pasolini con il Vangelo secondo Matteo, ci voleva Roman Polanski per inserire un tassello nuovo nella narrativa della Shoah. Registi che non hanno nulla a che vedere con un certo filone, ci si tuffano un po’ per scommessa è il risultato è sorprendente. Muoversi nel cinema dell’Olocausto è come camminare sui gusci d’uovo; il rischio di sbagliare ma soprattutto il rischio di scivolare nel facile melodramma è altissimo. Il maestro del cinema del disagio e dell’horror psicologico attinge a una storia vera che viene dalla sua terra natia, quella di un pianista polacco sopravvissuto all’invasione tedesca e alle barbarie del ghetto di Varsavia, un po’ per caso, un po’ per fortuna. Mette al centro il profilo vagamente semita dell’eccezionale Adrien Brody, giustamente premiato con l’Oscar, che tira fuori probabilmente la sua migliore interpretazione, dando corpo a un uomo timido che si trasforma lentamente in un derelitto che zoppicante e furtivo si aggira tra le rovine di Varsavia. Il pianoforte non è al centro della scena come uno si aspetterebbe, qui non abbiamo il pianista sull’oceano che suona stoicamente nonostante l’imminente tragedia; Polanski asciuga con grande efficacia il dramma umano di Szpilman relegando la sua professione di musicista quasi a margine, tirando fuori solo nell’intenso finale il malinconico humus chopiniano.
Particolarmente cruda la ricostruzione della vita nel ghetto, con strade costantemente disseminate di cadaveri, le cui particolareggiate pose immobili sembrano una macabra performance artistica.

2 commenti

  1. hartman / 4 Gennaio 2017

    direi che l’abbiamo trovato 😉

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