Recensione su Il Padrino - Parte III

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22 Novembre 2013

La trilogia de Il Padrino assomiglia, con metafora mutuata dal mondo della geometria, ad una parabola rovesciata che interseca l’asse di partenza molto in alto, per raggiungere l’apice in seconda battuta e infine precipitare vertiginosamente come nemmeno Felix Baumgartner.
Questa parte III, probabilmente tanto inutile quanto pretenziosa nel voler tentare di sistemare le cose tirando in mezzo un pò di tutto (la p2, lo ior, i politici italiani corrotti e chi più ne ha più ne metta), avrebbe forse fatto meglio a non esser girata, giusto per non rovinare le meraviglie compiute con i primi due capitoli della serie.
E invece Francis Ford Coppola, probabilmente contagiato, per osmosi, da un delirio di onnipotenza (che sfocia nel nepotismo), decide di chiudere con un terzo episodio che fa di tutto per rovinare il buon nome dei predecessori.
Dicevo il nepotismo:
– musiche accreditate al padre Carmine Coppola (Nino Rota messo in secondo piano nonostante il fatto che i tralatizi motivetti che accompagnano buona parte della pellicola siano i suoi, mutuati dal primo episodio);
– attrice protagonista, nel ruolo della figlia di Mike, nientemeno che la figlia Sofia Coppola, che tuttavia, a mio avviso, se la cava egregiamente, donando una convincente naturalezza al personaggio di Mary Corleone (dunque, discorso sul nepotismo a parte – ma quella non è certo colpa sua – non mi trovano d’accordo le molteplici critiche piovutele addosso).
(Nei titoli scorre anche un Nicolas Gage, con la G, produttore esecutivo che nulla ha a che vedere col nipote del regista, altrimenti sarebbe stato veramente troppo, peggio che un’università italiana!).
Il film ripropone troppe situazioni già viste (anche qui c’è l’ennesimo ricevimento condito da musica tradizionale) e per il resto si inerpica nella costruzione di scenari fantapolitico-mafiosi, portando l’attenzione sull’Italia degli anni ’70. Per carità, per molte cose non ci va nemmeno troppa fantasia (la collusione tra mafia, finanza e politica). Per altre situazioni si danno vaghi cenni che restano lì sospesi e fluttuanti, come sculture di Cattelan, intrecciando eventi realmente accaduti e congetture più o meno fantasiose (la morte di Giovanni Paolo I a pochi giorni dall’elezione al soglio pontificio).
La pellicola è dunque tenuta a galla (il famoso 6 politico) praticamente soltanto dalla bravura degli attori (anche se tutti mediamente in calo, compreso Al Pacino, cui tuttavia, come i grandi fuoriclasse dello sport, bastano un paio di colpi di genio per portare a casa il risultato) e da alcune scene che svettano memorabili in mezzo a un generico nulla / dejavu.
La scena sulla scalinata del teatro massimo di Palermo, su tutte, di una intensissima carica emotiva e che da sola vale un punto in più di valutazione. L’urlo di Al Pacino sulle note dell’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni è qualcosa che non si dimentica facilmente.
Purtroppo, però, è l’unica cosa che non si dimentica in mezzo a un mare di nulla, destinato all’oblio.

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