Recensione su Il nuovo testamento

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Guitry mattatore. / 28 Febbraio 2014 in Il nuovo testamento

Proseguo la mia personale scoperta di Sacha Guitry con questa commedia dal palese impianto teatrale (scritta dallo stesso Guitry, venne portata in scena per la prima volta nel 1934).

Qui, Sacha è anche interprete e la sua è una prova gustosa, decisamente divertente che sfrutta una mimica ed una gestualità forse affettate, ma sicuramente travolgenti.
Il repertorio di intercalazioni (borbottii, mugugni, esclamazioni di stupore o di accondiscendimento) e di gesti più o meno confidenziali (carezze, buffetti, baci a mezz’aria) che considero tipicamente d’Oltralpe ha su di me un effetto oserei dire esotico, me ne sento attratta ed ugualmente ne rifuggo la leziosità, e mi porta a fare alcune riflessioni riguardanti le differenze che intercorrono tra questo e i lavori di altri attori (ed autori) italiani ad esso contemporanei: il primo che mi sovviene insistentemente alla mente è il giovane Vittorio De Sica, impegnato, allora, in scoppiettanti commedie sentimentali. Quel che mi colpisce è il diverso uso del corpo e della gestualità, legato evidentemente ad una formazione culturale, più che recitativa, differente. Eppure, il gioco dei malintesi, i disvelamenti a sensazione, gli intrecci interpersonali sono assai simili in entrambi i contesti. Ciò che differisce è il gusto (inteso sia come inclinazione che come “senso della grazia”) con cui vengono rappresentati.
E’ indubbio che le capacità, non solo fisiche, di Guitry vengono esaltate in particolare nelle scene in cui dialoga con un singolo (e puntualmente ottimo) comprimario: ne sono un esempio quella in cui congeda la vecchia segretaria (una sequela di incredibili fraintendimenti da parte del protagonista), o quella in cui confabula segretamente con Madame Worms, o -ancora- quella in cui stabilisce il nome del nuovo maggiordomo.

La narrazione si articola, in realtà, in poche scene ed il loro svolgimento non sarebbe particolarmente brillante se non fosse supportato da una serie di verbosissimi dialoghi in cui il motteggio di ispirazione letteraria la fa da padrone.
Su tutte, sono due le sequenze che mi hanno maggiormente divertita: in entrambe, curiosamente, non compare mai Guitry ed in una di esse emerge un piacevolissimo senso dell’assurdo altrove decisamente più celato, se non evitato. Si tratta di quella, chiassosa e “di gruppo”, in cui viene letto il testamento del dottore e quella in cui si scopre che, a Parigi, esiste più di una statua di Giovanna d’Arco.

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