Il mistero di un certo “cinema” / 16 Gennaio 2022 in Il Mistero Dei Templari
Ormai non solo il genere romanzo si può considerare defunto, avendogli dato il colpo di grazia tutti quegli autori, da Eco a Follet, a causa dei quali è diventato una merce priva quasi del tutto di valore estetico, ma anche il cinema. Gli effetti speciali sempre più mirabolanti ma vuoti, insieme con l’eclissi della regia ed il controllo di agenzie governative, sembrano condannarlo senza appello. Ormai la stragrande maggioranza delle pellicole cinematografiche successive agli eventi dell’11 settembre 2001, sia italiane sia straniere si riduce ad una banale, piatta narrazione di vicende, improntata ad un malinteso realismo, senza che il montaggio e la direzione valorizzino sequenze, scenografie, metafore, contrasti chiaroscurali, volti, espressioni… mostrando la distanza e, talora, la compenetrazione tra il cinema e la vita. I films attuali mirano solo all’intrattenimento, alla superficiale distrazione, a dare l’illusione che le vicende dipanate siano reali, dissimulando il più possibile gli stacchi, le cesure del montaggio, quintessenza del cinema.
E’ infinita la noia che promana da produzioni neo-neo-neo realistiche che nelle intenzioni dei registi engagé dovrebbero essere opere di denuncia, ma che non scalfiscono nemmeno la scorza della corruzione. Come giudicare poi tutti quei films melensi e mielosi, come Ho voglia di te, lenocini per adolescenti imbambolate e per le loro madri ancora più imbambolate? Dagli Stati Uniti poi vengono tutte quelle americanate tanto fiacche quanto pericolose, perché insinuano messaggi distorti inneggianti alla pseudo-democrazia statunitense o poiché propongono modelli aberranti ed ignobili, in un turbinio di effetti speciali. Anche le rare pellicole che privilegiano contenuti significativi trovano il loro limite proprio in questo contenutismo talora moralistico e predicatorio, avulso da un’attenzione per il linguaggio cinematografico con le sue peculiarità.
Emblematici di questa irreversibile crisi del romanzo e del cinema sono, da un lato, Il codice da Vinci di Dan Brown, scadente copione pseudo-esoterico, dall’altro, il film Il mistero dei Templari, una produzione tanto più tediosa quanto più il povero Nicholas Cage e gli altri attori smanacciano e sgambettano nel corso dei soliti inseguimenti. Il protagonista, Ben Gates, è una specie di Indiana Jones metropolitano che si aggira tra anonimi luoghi statunitensi (chiese, sotterranei, musei…) scevri del tutto di quell’aura magica che avvolge antichi siti. L’ambientazione in questi scenari senza storia, rende simile il film ad una tragedia greca allestita in un ipermercato. Il riferimento ai simboli massonici sul dollaro è un messaggio che pochi spettatori possono decodificare; il nesso tra Massoneria e Templari poco più che un pretesto per tentare di creare un alone storico attorno alla banale storia. Tra dialoghi simil-adolescenziali, gli sguardi zuccherosi della protagonista, che interpreta il ruolo della direttrice degli Archivi nazionali di Washington, sgangherate cacce al tesoro affini a quelle organizzate per combattere la noia di un lungo pomeriggio, il film si conclude con la più nauseabonda e falsa celebrazione del sistema in cui il Bene rappresentato dall’F.B.I., dal governo e dai gloriosi fondatori della patria (ovviamente Benjamin Franklin in questa olografia è dipinto come un eroe, mentre fu un satanista) trionfa sui cattivi.
Il mistero dei Templari: il vero mistero è come questi films possano riscuotere tanto successo tra il pubblico e trovare pure il plauso di qualche critico. E’ vero che il buon gusto non esiste più, ma est modus in rebus. Il problema è il seguente: il cinema e la narrativa si sono atrofizzati in dozzinali trame, dimenticando che le storie più alte si sostanziano di descrizioni sublimi e di riflessioni profonde. Ormai è stato raccontato tutto ed il contrario di tutto ed in questa epoca fatua, in cui nulla di vero accade, essendo la storia ridotta a sceneggiatura scritta dai potenti, si può soltanto, in una sorta di coazione a ripetere, narrare il non-senso di avventure senza avvenire.