Recensione su Il Grinta

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Al cuore, Coen! La prossima volta mirate al cuore! / 4 Giugno 2013 in Il Grinta

Lo sceriffo Cogburn cerca di colpire a revolverate una bottiglia di vetro, riuscendoci solo al quinto o sesto colpo: è l’immagine che meglio riassume l’andamento complessivo dell’ultima fatica dei fratelli Coen.

Il Grinta, nuovo adattamento del romanzo di Charles Portis, e non un remake del film del 1969, è una storia di vendetta e di crescita che si muove lungo i binari del western americano più classico sforzandosi di mettere in scena archetipi altrettanto classici. Fin qui nulla di male, anzi. Le premesse sono ottime, ma l’impianto narrativo che i Coen cercano di portare avanti si rivelerà farraginoso nella narrazione e troppo semplicistico nel risolvere gli snodi più importanti.

Abbiamo a che fare con un film parlato fino all’eccesso. Al di là del motore iniziale, non troviamo azioni che spronino il racconto. Il continuo narrare da parte degli interpreti vuole essere, forse, un omaggio alla narrazione della frontiera americana, un modo per ricordare che, oltre alla storia sullo schermo, esistono infinite altre storie che si intrecciano nel mito del West.

Ma, cinematograficamente, tutto questo funziona poco.

Emerge, all’inizio, la personalità forte e decisa di Mattie Ross (Hailee Steinfeld). La scena della contrattazione esigerebbe però un botta e risposta più asciutto e, in generale, passa fin troppo tempo prima che la ragazzina, Cogburn (Jeff Bridges) e il ranger texano LaBoeuf (un baffuto Matt Damon) comincino la loro avventura nei territori selvaggi.

A questo punto, ci si aspetterebbe un’inversione nei toni (non solo cromatici) del film, un passaggio netto dal mondo civilizzato al west senza legge. Le attese non sembrano essere disilluse: ad accoglierci lungo il sentiero c’è un impiccato.

Ma è un falso allarme, e non si capisce allora la decisione di inserire un paio di scene violente, sì, ma solo a livello visivo. Stonano con quello che vuole essere un western favolistico, ma che spesso scivola nel bambinesco.

E se il cattivo Tom Chaney (Josh Brolin) convince subito per impatto visivo, così non è nei minuti successivi, dove i cattivi si rivelano essere davvero inconsistenti, compreso lo sputacchiante Lucky Pepper (Barry Pepper).

Non tutto però è da buttare. Le interpretazioni sono buone (sarebbero state ottime, se sostenute da una sceneggiatura con più speroni), la fotografia a tratti magnifica, spesso intima e caravaggesca allo stesso tempo, capace di delineare i tratti fisici più rudi e marcati degli attori. Non mancano momenti ironici che strappano il sorriso.

Resta però la sensazione che i Coen non sappiano bene dove andare a parare. Incertezze nel registro stilistico, troppe parole e troppe mezze idee che, proprio come i proiettili di Cogburn ubriaco, vanno a segno solo sporadicamente.

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