Recensione su Il capitale umano

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7.5 / 21 Gennaio 2014 in Il capitale umano

Un incidente stradale è il seme su cui germogliano i tre capitoli di una stessa storia, ripresa da tre punti di vista differenti, spazialmente vicini ma lontani negli sviluppi. Il regista e sceneggiatore (insieme a Bruni e Piccolo) Virzì ne ricava sapientemente un racconto dai toni di commedia italiana, unendoli efficacemente al dramma familiare per sfociare nel thriller.

Un film in crescendo e, di per sé, di film in crescendo l’Italia ne è completamente priva, o quasi. Lo sviluppo in salire implica un inizio lento, affannoso, ma la sceneggiatura stupisce, e inviluppandosi ai personaggi crea forti momenti riflessivi. Il cammino narrativo si sporca di colori complessi, dai vari riflessi, esplicando man mano una poliedrica tortuosità non sperata che crea, periodo dopo periodo, un affresco particolareggiato di locus umano, luogo dell’accadimento, forse inesorabile ma quantomai voluto, non con dolo ma con colpa, riflettendo un’ardua riflessione sul ciò che siamo, sul ciò che vorremmo essere.
La complessità sta nella varietà di situazioni narrate, dal sentire la crisi al vivere l’adolescenza, passando per il rapporto di coppia, alla carriera, al compromesso della ricchezza e le scelte che ci contraddistinguono, che riescono miracolosamente a compenetrarsi senza mai cadere nell’abbozzo superficiale, incontrando un grado di sviluppo di spessore e d’equilibrio. Qualche piccolo cortocircuito nel finale (tra tutti il ricatto del bacio, che appare come un evidenziare una tristezza morale che non necessitava di ulteriori conferme, o “LA SEMPRE TUA SERENA” che vizia il meccanismo della relazione, per poco non trascinandolo in un banale contesto adolescenziale) non reca troppo danno alla scrittura riuscita e profondamente riflessiva.
Attori scrupolosamente diretti e lucidamente presenti, un po’ sopra le righe Fabrizio Bentivolgio, che accentua l’interpretazione favorendo un’identificazione sociale ma svilendo un po’ la caratura del personaggio. Matilde Gioli usa bene il suo corpo, ripreso senza veli, naturale davanti alla cinepresa e consistente, tangibile, dona carattere ad un personaggio che rischiava seriamente di apparire piatto e fastidioso. Il resto del cast a proprio agio in parti che sembrano padroneggiare con esperienza.
Il finale epigrafico poteva rendere tristemente evidente ciò che non si era stai capaci di dire con le immagini, ma invece si integra alla narrazione ed esplicita il titolo, inasprendo un finale che sarebbe stato palliativo, colmandolo di interrogativi morali e di fatto capovolgendo un presunto lieto fine. Molti gli stimoli nella mente dello spettatore che esce dalla sala.

Con “Il capitale umano” il cinema italiano si arricchisce di buoni propositi, in un periodo “fortunato” dove tra crisi e deperimento culturale alcuni registi (Andò, Virzì, Sorrentino, Rosi ma anche Pif, Salvatores, Dritti) firmano il momento storico lasciandoci testimonianza di questo snodo sociale cruciale e quantomai decisivo.

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