L’evasione di Becker. / 17 Novembre 2014 in Il buco

Da un soggetto di José Giovanni (la cui vita, forse, meriterebbe un intero film) e dello stesso Becker, ecco un film di ambientazione carceraria che, pur soprassedendo su alcune più che probabili omissioni (es. la violenza fra detenuti costretti a vivere in condizioni evidentemente proibitive), è solidissimo, costantemente teso (nonostante il non indifferente minutaggio), asciutto come uno schiaffo a mano aperta.
La linearità del racconto si spezza violentemente sul finire della pellicola, quando ogni cosa sembra ormai decisa: un colpo di mano drammatico, per me davvero inaspettato.

Fotografato in un lirico b/n da Ghislain Cloquet che avrebbe, in seguito, collaborato anche con Bresson, e montato da Marguerite Renoir, collaboratrice e compagna per un certo periodo di Jean Renoir, Il buco incuriosisce perché descrive minuziosamente le abitudini all’interno del carcere ed appassiona per la tenacia con cui i protagonisti si impegnano a fuggire, unendo forza maschia e fine razionalità.
Da manuale, l’acume con cui Roland (Kearudy) risolve alcuni intoppi, nonché lo spirito di adattamento che egli dimostra di possedere, nonostante la menomazione ad una mano.
Il film è costellato da facce meravigliose, da Philippe Leroy a, per l’appunto, Jean Keraudy (nientemeno che uno dei veri protagonisti, insieme a Giovanni, della tentata evasione raccontata nel film), fino al “gorilla” Michel Constantine.
Unico, significativo volto femminile, quello ancora acerbo di una quindicenne Catherine Spaak.

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