Recensione su Se...

/ 19697.636 voti

21 Aprile 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La cine-risposta anglosassone alla controcultura del ’68. College maschile molto tipico-british e tradizionale, si rientra dopo le vacanze estive. Il film parte con sguardo generale e descrittivo sulla vita all’interno della scuola. Qui vigono gerarchie scolpite nella roccia, e i senior hanno potere di metaforica vita e morte sui junior, e così via. Tutto sembra ripetersi sempre uguale da centinaia di anni, rituali e codici vengono dissezionati con cura. Man mano che procede, il focus si stringe su tre ragazzi, capeggiati da un irriducibile Malcolm McDowell pischellissimo, al suo primo ruolo da protagonista, I guess. Refrattari alla disciplina, sopravvivono nel sistema, coltivando il sogno di BUM!
Ma la tradizione, il poteresistemablabla, è ancora troppo forte, e li punisce, corpo e mente, per farli rientrare nella matrice. Uno dei tre si innamora, ricambiato, di un junior con la angel face grassa, c’è del gay in tutto ciò, Mick e il biondo rubano una moto.
Successivamente alla definizione dei protagonisti, si verifica parallelo uno slittamento verso un binario di surrealtà, che all’inizio del film non c’era manco per il putipù. Un prete esce da un cassetto. Cucù! E viene richiuso nel cassetto. Malcolm, cioè no, si chiama Mick, Mick corteggia una cameriera di un bar tettona e monocigliuta, con una danza da fiere (ammesso che le fiere danzino); durante le esercitazioni paramilitari, un antipasto di guerra rivoluzionaria, sparano alla casseruola comune del tè, bucandola. Che in Inghilterrra, omg, è gravissimo, isn’t it? È lesa maestà (ok, la dico: maestè ← se non la capite poi ve la spiego. Se ho voglia).
Puniti a puliziare una cantina della scuola, trovano un vero e proprio arsenale. E pianificano la rivoluzione. É vera? È falsa? La fanno per davvero sul serio o è solo la sublimazione di un desiderio che è sia dei personaggi che inevitabilmente degli spettatori? È il SE del titolo? Doesnt’ matter, perché durante il giorno di fine anno, o qualche altre festa school tradizionale, in cui tutti i genitori sono presenti, appiccano un incendio al palco da dove un generale sta tenendo un discorso, tutti escono, e Mick e i suoi amici sono lì, sul tetto della scuola, pronti a smitragliarli di brutto. E rivoluzione, e il Preside cerca di dirgli “facciamo pace, dai, va tutto bene, potete rientrare nel sistema”, e si becca una pallottola in fronte dalla monocigliuta.
Un film anarco-insurrezionalista, che prima illustra con minuzia regole e recinti, proprio per far capire che l’unica liberazione/gioia sta nel farli esplodere; tanto che il regista non trovava scuole dove girare le scene, perché tutte dopo aver saputo di che si trattava gli dicevano ciao.
C’è un’alternanza di colore e b/n, che il regista ha sostenuto fosse perché sì ma soprattutto perché non c’era il budget per fare altrimenti. Lo sguardo e la mimica di Malcolm rappresentano tutta la sovversione della gioventù, ed è lui a guidare le danze, anche rispetto ai senior che lo stanno punendo. C’è anche del Monty Python ante litteram in tutto ciò, e un sacco d’altro, e si capisce benissimo come questo film sia diventato un capostipite di tutta una discendenza di cultura anarcoide e sbeffeggiante, ma coll’humour inglese sempre innervato in primo piano, degli anni successivi.
Ah, e tutti dicono in continuazione Jolly jolly good, e mi hanno mandato del tutto in fissa.

Lascia un commento