20 Dicembre 2017 in So cosa hai fatto
Verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso lo slasher, che aveva vissuto i suoi momenti di gloria negli Ottanta, sembrava un genere che non aveva più niente da dire. A omaggiarlo ma anche metterne alla berlina tutti i luoghi comuni e, nelle intenzioni, a scriverne l’epitaffio, arrivò nel 1996 il film Scream di Wes Craven, regista, a volte geniale, che aveva iniziato già l’anno prima un percorso di destrutturazione dell’horror con Nightmare-Nuovo incubo. Paradossalmente il successo della pellicola fornì invece nuova linfa al rilancio commerciale del genere con tutta una serie di mediocri (se non pessimi) prodotti che, a differenza del film di Craven, non avevano la stessa consapevolezza e capacità di non prendersi troppo sul serio. Il film di Gillespie è uno di questi, nonostante sia stato scritto dallo stesso sceneggiatore di quello di Craven, quel Kevin Williamson considerato per un certo periodo una specie di re Mida dell’intrattenimento cine-televisivo per, come si dice oggi, giovani adulti. La struttura del racconto arriva dal romanzo omonimo di Lois Duncan cui si ispirò, guarda caso, lo stesso Craven per il suo Summer of Fear (1978). Quattro ragazzi un po’ alticci investono un uomo, uccidendolo, mentre tornano da una festa. Un anno dopo iniziano a ricevere dapprima degli avvertimenti (come bigliettini con scritto “so cosa hai fatto l’estate scorsa”), per poi essere letteralmente braccati da un assassino agghindato con una nera palandrana cerata e gancio da pescatore, così vistosamente caratterizzato perché forse nelle intenzioni doveva andare ad affiancarsi agli altri famosi serial killer che affollavano il genere come Freddy, Jason o Michael… Il body-count, stranamente contenuto, ha inizio. L’interesse principale del film dovrebbe essere dato dallo svelamento dell’identità dell’assassino ma la risoluzione del mistero è abbastanza deludente. Rispetto al romanzo, che non è uno slasher nonostante presenti i personaggi tipici del genere (il giocatore di football, la cheerleader, la bella, il ribelle), ma un giallo per ragazzi, forse un po’ banale ma gradevole e veloce da leggere, lo svelamento è diverso, anche abbastanza intuibile vista l’esiguità di personaggi, però difficilmente replicabile sullo schermo. Altre differenze sono l’identità della persona investita (un bambino in bicicletta e non un uomo), la trama più complessa, le dinamiche tra i protagonisti, l’aggiornamento tecnologico (con GPS, telefoni cellulari e computer) e sociale (uno dei personaggi è tornato dalla guerra in Iraq in luogo di quella del Vietnam, per esempio), poiché il libro fu scritto nel 1973, e il tono generale della narrazione, “arricchita” di tutti i triti stilemi dello slasher. La scrittrice disconobbe il film con l’accusa di aver snaturato la storia del romanzo. La pellicola generò comunque, come si confà al genere, una piccola saga composta da Incubo finale (I Still Know What You Did Last Summer, 1998) e Leggenda mortale (I’ll Always Know What You Did Last Summer, 2006), una sorta di sequel/remake dell’originale.