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L'arco

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15 Dicembre 2013 in L'arco

Kim Ki-Duk trasforma nuovamente la poesia in cinema, dove la storia è secondaria alla potenza simbolica di immagini e riti e dove la musica surclassa la parola.

Una sorta di fiaba (ovviamente) non realistica/plausibile è raccontata ne L’arco, un lavoro forse meno riuscito di altri, ma non per questo poco valido.

Dove l’arco stesso è fautore di armoniose melodie e al contempo arma letale per proteggere da ogni pericolo la propria amata.
Ed è questo il sogno del vecchio pescatore, quasi aguzzino, quasi maniaco.
Occuparsi della ragazza ed averla tutta per sé, nell’estenuante attesa che lei compia la giusta età per poterla sposare con un matrimonio tradizionale che sta progettando da mesi, racimolando un oggetto dopo l’altro.

Kim Ki-Duk fa succedere tutto lentamente, rappresentando il mondo in un gesto o in un sorriso di persone che non parlano mai. Colorando il proprio ambiente come può.

Il tutto girato a bordo di un barcone scassato di pochi metri, nel quale è racchiusa un’intera realtà. Un mondo d’amore che si riveste di prigionia, ma che non sa soffocare l’anima con il peso dei sentimenti.

Un film forse che eccede nel manierismo, ma che colpisce con un finale da freccia nel cuore.

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1 Febbraio 2013 in L'arco

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Questo era il film di dio Kim Ki-duk successivo a Ferro 3 (il film della mia epifania del dio). Al solito, qualsiasi forma di razioverosimiglianza narrativa è sgozzata e sacrificata all’altare della poesia. Un vecchio e una ragazzina vivono su di un barcone, nel dipinto di blu blu del mare. Il vecchio porta dalla terraferma dei tipi a pescare. Tutti ci provano con la ragazzina (che è superbellissima e koreana-wow, e con lo strabismo di Venere) e lui li spaventa a frecciate d’arco. Con l’arco fanno tutto, come arma e come violino. Per leggere il futuro ai clienti lei dondola su di un’altalena sul mare, lui le spara frecce tra un dondolio e l’altro. OVVIAMENTE entrambi non proferiscono un verbo MAI. Lui vorrebbe sposarla, ma arriva un korean-tamarretto con il walk-man, figlio di un cliente, che fa capire a lei che forse di là dal mare c’è qualcosa di più.
Il vecchio sotto sotto è zozzo ma non la tocca mai, e la vorrebbe sposare al compimento dei 16 anni.
Un filo esagerato nel manierismo, ma con un finale da freccia in cielo che poi cade lì lì proprio lì sì lì, che mi ha fatto sbarrare gli occhi e ululare alla luna accartocciato su me stesso su quanto splendide siano le immagini, e la forza di una freccia che precipita (luna che comunque non c’era, ma conta il principio).
Tutto
deve succedere
molto
ma molto
lentamente.
E, possibilmente, con un pianoforte in sottofondo.
Affondiamo pure,
ma con calma.

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21 Novembre 2012 in L'arco

il dolore regala una musica dolcissima. io penso che “l’arco” mi abbia donato una delle migliori colonne sonore mai ascoltate. l’anima e il corpo che non si dividono e raggiungono il cielo per tornare indietro e restituirci ciò che il corpo non contiene, il colore del sangue si diffonde nel bianco oltre la previsione del futuro. esiste l’altalena della predizione, esiste il pesce della verità. ma c’è un oltre per tutto, c’è un luogo dove potremmo essere in una parola fuori dal comune…

l’arco è una visione aborigena della realtà, sfasata col il senso comune delle galline dove viene concesso loro il dono del volo. il matrimonio nel bianco riassume l’unione che disprezza il reale, “il senso comune”, l’incomprensione in un ritardo della sensibilità, frenato dalla paura che il sibilo delle frecce traduce in vento, tormenta, naufragio. l’arco regala una visione fiabesca, non credibile, ma comunque poetica che aiuta e non degrada nel tuffo finale verso l’abisso. aborigeno come l’effetto del boomerang. l’amore torna indietro.

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Estetica dell’inquietudine / 14 Settembre 2011 in L'arco

Forse meno riuscito di tanti capolavori che lo hanno preceduto, L’arco rimane sempre un gran film. Inquietante, estetizzante, con una sceneggiatura ridotta all’osso, al solito carico di simboli propri del regista.

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