Recensione su Hunger

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6 Maggio 2012

Ho sempre apprezzato moltissimo i registi che hanno il coraggio di affrontare temi difficili, argomenti scomodi e questioni scottanti con la massima aderenza alla realtà, senza circonlocuzioni e giri di parole, senza retorica ma in maniera diretta.
Steve McQueen fa questo.
Colpisce duro, come un pugile cattivo, arrabbiato, dai pugni pesanti.
Lascia che sia l’occhio scientifico della videocamera, che si muove in maniera documentaristica, senza gli scatti bruschi del videoamatore, con la coscienza del fotografo che vuole ritrarre un’immagine, a rivelare l’orrore della realtà carceraria inglese.
E’ interessante ma hunger (Fame) è molto simile ad anger (rabbia), e lo stato fisiologico che rappresenta la forma di ribellione dei carcerati e che trova in Fassbender il simobolo è originato dalla rabbia per le condizioni vessatorie dei prigionieri politici nord-irlandesi.
McQUeen si affida all’ottimo Fassbender che qui, come anche in “Shame”, recita con il corpo, un corpo distrutto dalle piaghe, debole e scheletrico, una bandiera dell’ideologia profonda e testarda del protagonista.
McQueen viaggia all’interno delle celle, rivela altri protagonisti, il secondino, i compagni di Sands, il politziotto dei corpi speciali, il prete (l’unico, oltre a Fassbender, a cui è dato parlare, esprimere il suo punto di vista, splendidamente interpretato da Liam Cunningham), si concentra solo dopo un pò su Bobby Sands e lascia che sia Fassbender a dominare la scena (interptetazione magistrale).
Chiunque alla fine di questo viaggio nell’orrore, non potrà non rendersi conto che le parole sono superflue, la potenza evocativa dell’immagine è sufficiente a trasferire il messaggio, a far VEDERE ciò che molti non avrebbero voluto neppure immaginare.

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