M / 28 Gennaio 2019 in Hukkle
Film in qualche modo simile al bellissimo Le quattro volte di Michelangelo Frammartino: ed è l’unico paragone che potrei riuscire a fare. Assenza quasi totale di dialoghi, scandaglio del mondo rurale odierno, sguardo felicemente indifferente a ciò che si racconta. Persino alcuni tratti minuti sono molto simili: il film ungherese inizia con un vecchio contadino che continua a singhiozzare senza poter smettere (Hukkle infatti dovrebbe voler dire singhiozzo); il film italiano inizia con un vecchio contadino che continua a tossire senza poter smettere.
Ma c’è una differenza direi fondamentale: Le quattro volte è un film che cerca di contenere nell’inquadratura quanto più possibile, vuole riassumere un intero mondo all’interno dell’opera cinematografica. Hukkle, al contrario, indugia spessissimo, direi quasi sempre, nel particolare: inquadrature ravvicinate che raccolgono testimonianza di qualsiasi cosa riescano a trovare, umano o animale, naturale o artificiale, poco importa. Spiccano i 15-20 secondi a pochi centimetri dai testicoli di un porco. Ma i testicoli sono solo il simbolo di tutto il resto, perché il film sembra volerci dire che il particolare è osceno, che le cose, tutte le cose, viste da vicino sono ributtanti. E in questo senso la scena più riuscita raffigura una vecchia che prepara da mangiare e poi la famiglia riunita che mangia: tutto perfettamente normale e quotidiano, ma quando ingrandito dalla vicinanza della macchina da presa, tutto tremendamente orrendo. Vedere la gente che mangia con l’inquadratura a pochi centimetri dalla bocca e il suono della masticazione a martellare l’orecchio è un’esperienza cinematograficamente più estrema di un qualsiasi Alien.
In tutto questo c’è anche una trama: nel villaggio infatti avvengono una serie di misteriose morti, tutte riguardanti uomini di una certa età. Nel mezzo però di questo finto documentario etnografico, e senza le parole ad aiutare la comprensione, quelle morti sembrano uno dei tanti fatti di quel mondo rurale e sono impossibili da ricostruire con precisione, dovendo solo guardare da fuori il poliziotto che indaga. È qui che lo stile si fa concezione di un mondo: interessandosi infatti ai dettagli della vita rurale un mondo che pare idealizzato si scopre invero nefando fino alla sconcezza. Cos’è successo, o almeno una vaga idea di cosa potrebbe essere successo, viene alluso nel finale del film, a una festa di matrimonio in cui un coro femminile spiega come assassinare il marito (e quel coro sarà l’unica parte “parlata” del film).
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