Recensione su Una tomba per le lucciole

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Quello che rimane / 23 Ottobre 2013 in Una tomba per le lucciole

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Una tomba per le lucciole è l’eco di un boato silenzioso. Non quello duro, assordante, lasciato dalle bombe e dai missili sganciati per distruggere ogni cosa ; ma quello crudo, indifferente, che rimane quando tutto per un momento sembra finire, quando il rumore degli aeroplani appare lontano. Quell’eco che non ti restituisce nient’altro che terrore e angoscia per il futuro.
In questa crisalide di dolore, ambientata durante lo scoppio della seconda guerra mondiale, i due protagonisti ( Seita, giovane ragazzo, e Setsuko, la sua piccola sorellina) rimasti orfani, e lasciati in balia dei propri destini, trovano il coraggio di andare avanti, nonostante l’orrore che si consuma in quel periodo, e che lentamente li divora. Trovano, appunto, la forza di costruirsi un piccolo giaciglio di felicità, anche se in questo caso si tratta di una fredda caverna, riscaldata soltanto dal calore emanato dalle luci di tante piccole lucciole, e dall’indissolubile legame che li tiene uniti.
In questo piccolo capolavoro dello studio Ghibli , è da notare, oltre alla drammaticità dei contenuti, forse all’apparenza amplificata, ma tremendamente reale, la semplicità dei gesti, delle parole, quasi essenziali, ma che trovano proprio nella loro genuinità, una delicata e confortante certezza, quella che oltre il buio si può scorgere sempre una piccola luce.
Questa luce è pero destinata a spegnersi, e in questo epilogo lo spettatore si sente impotente, distrutto emotivamente dall’evolversi della vicenda.
Il momento in cui il regista, nonché sceneggiatore ed autore, Takahata evoca il dolce ricordo della piccola Setsuko, intenta a crearsi un mondo artificiale, decontestualizzato dall’ambiente in cui invece sopravvive, è qualcosa di assolutamente poetico.
Rimanere indifferenti a tutto ciò è impossibile, come impossibile è cancellarlo dal cuore.

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