ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Hereditary è il lungometraggio d’esordio di un giovane regista e sceneggiatore statunitense, Ari Aster, che, finora, aveva realizzato solo alcuni cortometraggi, fra cui lo sgradevole (francamente, fatico a considerarlo una satira, come invece lo vedo descritto in giro) The Strange Thing About the Johnsons (2011), che già mostrava alcuni elementi riscontrabili del film di debutto (oltre all’esistenza di segreti indicibili e di vari sensi di colpa all’interno di un nucleo famigliare “borghese”, prevale la rappresentazione degli interni domestici come se si trattasse di diorami).
Il soggetto di Hereditary nasce da alcune vicende personali che hanno coinvolto la vita e la famiglia di Aster: la riproposizione di problematiche famigliari in chiave horror è una premessa valida ed efficace che, in ambito artistico e, nello specifico, cinematografico, ha sempre trovato sviluppi fecondi, non solo nell’alveo dele produzioni di genere. Recentemente, per esempio, ce l’ha ricordato anche Lanthimos, con il destabilizzante Il sacrificio del cervo sacro (frutto del caso o meno, sia nel film del regista greco che in questo di Aster ci sono espliciti riferimenti alla stessa tragedia greca, l’Ifigenia in Aulide di Euripide).
Il film di Aster mette sul tavolo un sacco di elementi intriganti, a partire dall’introduzione, in cui la casa dei Graham viene mostrata come un modellino in sezione (o viceversa?).
E via, fin da subito, con le peculiarità: una ragazzina “strana” dai comportamenti un po’ inquietanti, una madre “pericolosa”, testi e segni esoterici, una donna afflitta dai sensi di colpa, un nido famigliare molto articolato dal punto di vista spaziale e perennemente scricchiolante, teste mozzate, strani simboli ricorrenti e regole poco rispettate (come quella delle scarpe).
Sono tutti elementi tipici degli horror o dei thriller psicologici che sconfinano nel genere, perciò ben vengano.
Il guaio è che Aster non sa (o non vuole?) gestirli in maniera definita e, superata la prima metà del film, ho avvertito la sensazione di essere sballottata all’interno di una fantasia puerile, in balia del caso (narrativo), alla ricerca della citazione “alta” e di un confronto con essa (Polanski e Friedkin, sicuramente). Pur mostrando buone capacità registiche e bravi attori (la Collette, certo, ma anche la giovane Milly Shapiro e Alex Wolff), non solo Hereditary non si distingue particolarmente dal punto di vista delle invenzioni tecniche e narrative, ma è perfino in grado di svilire la carica suggestiva delle sue componenti migliori, sprecando anche il tema supremo, quello del sacrificio.
Hereditary è un film lungo, prolisso e, purtroppo, sterile che mi pare si prenda troppo sul serio, senza l’ironia di -per fare qualche esempio recente- un Get Out o le abilità manipolatorie dello Shyamalan più ispirato (Il sesto senso, ovviamente, ma anche The Visit).
Per gran parte del film, ho confidato strenuamente che i vari parallelismi suggeriti (diorami/fantasia; sogno/realtà; paura/ossessione) si concretizzassero per dare vita a un plot twist capace di spazzare via ogni incertezza. Invece, no. Tutto ciò che Aster mostra -ahimé- è. E, per quel che mi riguarda, si risolve in un “esperimento” abbastanza desolante.
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