Recensione su Hereafter

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Tracollo Eastwood / 16 Giugno 2012 in Hereafter

Aldilà e aldiquà. Vita e morte. Senza miracoli. Anzi. Clint Eastwood ha ormai ottant’anni e ha praticamente guidato la storia del cinema americano per circa 40 anni, cercando di rimanere sempre su ritmi egregi evitando di calare in modo maggiore a quanto facessero gli altri. Hereafter non è un film per tutti, questo dev’essere chiaro, anzi. Non è un film per i fan di Eastwood, non è un film per chi crede in un altro mondo, non è un film per chi è intenzionato a farsi una chiara idea sul concetto di morte. Hereafter è una lenta meditazione sul significato della morte nella vita e su ciò che succede dopo che si è morti. Il grande regista non si schiera mai, come ha sempre fatto negli ultimi anni e si mantiene lontano dalla scena, sta zitto e fermo e non si chiede mai se stia o non stia esagerando, anzi. L’indagatore Eastwood, si muove pian piano nei meandri del cervello umano, scrutando il dolore e cercando di ritornare sui temi soliti ai suoi film: la redenzione, la resurrezione, il rapporto conflittuale con la religione e con se stessi. Il discorso è unitario, ma il film appare irricevibile, a causa della sua lentezza, che vorrebbe essere simbolo di profondità ma che in realtà non riesce a coinvolgere e che invece porta lievemente ad una completa perdita di interesse da parte dello spettatore che in attesa di un colpo di scena che non arriva mai, può perdersi nel cercare un vero e proprio senso in tutta l’opera. Il buon vecchio Clint ci sa fare, ma ha in mano un copione che in realtà fa acqua da tutte le parti, anche se si può confondere con una grande sicurezza quella che in realtà è una goffaggine pura e semplice. L’universo è formato da miliardi di cellule che cercano di comunicare tra loro trovando un contatto alle volte molto diretto, alle volte per nulla diretto e quindi equivocabile. Può succedere che alcune persone riescano(o credano di riuscire) a trovare un contatto con il mondo irrazionale e con quello dei morti. E’ quello che accade a George, un operaio americano che vive malissimo la sua possibilità di avere contatti con il mondo dei morti. Esattamente dall’altre parte del mondo si muovono storie di donne e bambini sopravvissuti o almeno così sembra a situazioni in cui la morte era praticamente ad un palmo dal naso. E allora c’è chi perde il fratello gemello in un incidente e chi scampa perfino ad uno tsunami. Osannato come nuovo Charles Dickens, per la presenza di tre cosiddetti(dalla critica, eh) fantasmi, Hereafter vorrebbe essere un caposaldo della carriera di Eastwood, invece risulta essere uno dei punti più bassi da lui toccati. Il film risulta troppo complesso nel voler trovare un collegamento spirituale rimanendo comunque eticamente neutro. Il film diventa perfino fastidioso quando cerca di dare delle alternative alla domanda più difficile e più celebre che l’uomo si pone da quando è nato e quindi delude le aspettative di chi, pensava, che il buon Clint mettesse una risposta a questo interrogativo. La sua risposta. Invece ci dà perfino un finale statico, che rende il film inconcludente e comunque inconcluso. Si salvano giusto gli attori, la grandiosa Cecile De France, sorpresa assoluta, anche se relegata in un ruolo frustrante, e il buon Matt Damon, che come al solito dona una buona prova, ma che serve a poco. Dopo Invictus, un’altra pecca nella carriera di Clint Eastwood. Forse(vedendo anche l’ultimo J. Edgar) è la fine di un’era? Buio.

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