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Lei

/ 20137.7934 voti

Pastorale contemporanea / 21 Novembre 2022 in Lei

Una love story, un film di fantascienza, una storia sulla carta surreale ma diventata reale grazie a quel genio di Spike Jonze. Era partito entrando nelle mente di John Malkovich, mentre ora ci trasporta in un futuro non tanto prossimo ai confini della natura umana.
Uno tra i film più originali degli ultimi anni, una scommessa vinta, un capolavoro contemporaneo che i nostri nipoti tratteranno come oggetto di culto!
Oscar 2014 alla migliore sceneggiatura originale per Spike Jonze

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La paura di rimanere soli… / 20 Luglio 2021 in Lei

La difficoltà a rimanere soli. Il sentirsi abbandonati. La tecnologia viene incontro a Theodore con un nuovo sistema operativo, “OS 1”, basato su un’intelligenza artificiale la quale condivide con lui ogni aspetto della sua giornata, fino a spingersi nella profonda intimità.
Una visione del futuro che potrebbe anche essere reale quanto paurosa dove i rapporti umani e fisici diventerebbero non più la normalità quanto un’eccezione.
Un bel film, girato e interpretato molto bene da Joaquin Phoenix.
“Sono innamorata di altre 641 voci ma questo non incide sul mio amore per te che è unico”
Ad maiora!

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Delicato e potente / 11 Dicembre 2020 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Film profondo e struggente che, come è stato già ampiamente detto, si focalizza sull’analisi della società postmoderna, con la sua corsa ad una tecnologia e scienza sempre più sofisticate e suggestive ma che ormai è quasi incapace di guardarsi dentro e ammettere che la maggior parte delle persone non sa instaurare valide relazioni umane e soprattutto sentimentali.
Tutto è avvolto da un’aura malinconica e quasi ovattata, con un curioso e originale contrasto tra la metropoli linda, lucente ed efficientissima, tutta palazzoni di vetro e acciaio, luci notturne e skyline e l’abbigliamento vintage dei suoi abitanti (qualcuno ha giustamente notato che si tratta di una moda anni ’70 dagli inconfondibili colori pastello).
Ho trovato un po’ idealizzata la personalità di Samantha: forse proprio perché Theodore è fondamentalmente incapace di gestire la conflittualità, gli imbarazzi e i tempi morti di una relazione “convenzionale” con una donna, l’intelligenza artificiale gli va incontro in tutto e per tutto, mostrandosi sempre paziente, gentile, aperta, empatica, divertente, brillante… un po’ “troppo” insomma, ma suppongo che l’effetto fosse totalmente voluto proprio per spiazzare lo spettatore e mostrargli quanto sarebbe semplice e confortevole avere un partener ideale (per l’appunto) che lo metta totalmente a suo agio. D’altra parte l’effetto “straniante” si fa più deciso in frangenti come la proposta del bizzarro rapporto a tre (quale fidanzata comune avrebbe lanciato di sua iniziativa un’idea simile? La maggior parte sarebbe stata contraria) e, ancora di più, quando Samantha mette in crisi l’idea di Theodore (qui epitome di tutta l’umanità) che l’amore possa essere esclusivo e totalizzante; forse solo una coscienza disincarnata e “sintetica” potrebbe avere abbastanza amore per più di una persona, ci dice efficacemente e per parte mia mi trovo abbastanza d’accordo, non essendo una che crede molto ai rapporti poliamorosi.
Il vero nocciolo del film resta però la solitudine che fa quasi da sfondo alle esistenze di ciascuno, dai protagonisti alle comparse che per la strada, sui mezzi pubblici o in ufficio riescono perlopiù a comunicare solo con i loro SO, e nonostante l’attaccamento che per essi si può sviluppare, Jonze sembra voler suggerire che non ci si può dimenticare che non si tratta di persone in carne e ossa, che non basta rifugiarsi in certe cose.
Come diceva Albus Silente, “non serve a niente rifugiarsi nelle fantasie, è dimenticarsi di vivere”, un concetto che trovo molto calzante per tutte quelle persone (vedi in Giappone) che vivono relazioni con personaggi di fantasia come quelli dei videogiochi, degli anime o dei manga, un qualcosa di molto simile a quanto visto in Her. Segno che questo è un fenomeno più attuale e vero di quanto non si creda.

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Super film / 20 Novembre 2019 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Perla vista colpevolmente in ritardo.
Un Joaquin Phoenix già ottimo , in questo che potrebbe essere visto come un altro mega “blackmirrorone”.
Non so da dove partire con le lodi : fotografia e inquadrature stupende (bellissima la città , a naso una moderna del sud-est asiatico…Singapore o Shanghai)…attori tutti bravi , con -ovviamente – Phoenix che sovrasta e domina tutti quanti, compresa Amy Adams e un (ancora cicciottello) Chris Pratt.
Ho particolarmente apprezzato il contrasto della tecnologia dilagante mischiato al vestiario e agli arredi che hanno un non-so-che di 60’s – 70’s.
Ma la cosa spiazzante è il finale : quando ormai si potrebbe pensare al “solito” Lui-umano che lascia Lei-programma, perchè alla fine la mancanza di un CORPO pone distanze incolmabili…il colpo di scena: è Lei che lascia Lui perchè incapace di fermare la sua fame di evoluzione e desiderio di migliorarsi e imparare. Non potendo cosi essere solo sua.
Non Lui che lascia Lei, ma Lei che lascia Lui.
Un plauso particolare alla doppiatrice di Scarlett Johansson, in questo ruolo inconsueto. Bravissima.

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Miracolo vocale / 27 Luglio 2018 in Lei

Bello e originale. Solo una rapida nota sul doppiaggio; io nel 99% dei casi preferisco naturalmente le voci originali, ma qui siamo davanti a un caso davvero singolare. La voce di Scarlett Johansson è a dir poco sensuale, intensa, lascivamente roca, a cui si aggiunge una dizione attoriale praticamente perfetta. La voce della Ramazzotti l’avevo sempre sentita con quell’accento borgataro abbastanza irritante. Ebbene, in questo film la voce del sistema operativo di cui si innamora un ottimo Joaquin Phoenix (davvero splendidamente in parte), sentita in v.o. è talmente vera da sembrare paradossalmente fasulla; doppiata in italiano invece, con una doverosa ripulita alla dizione da parte della Ramazzotti che cancella efficacemente ogni residuo di romanaccio, c’è quel filo appena percettibile di roboticità (ma davvero un filo, quanto basta) che la rende incredibilmente perfetta. Ho voluto sentire la scena “clou” dell’orgasmo virtuale in entrambe le versioni; la resa emozionale della Ramazzotti è pazzescamente superiore a quella della Johansson. Un miracolo vocale di cui non riesco ancora a capacitarmi.

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Film intenso e originale / 3 Gennaio 2018 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Film imponente, due ore di discosi filosofici alternati da momenti più leggeri. Indagine sull’interiorità delle persone e nel loro rapporto con gli altri, nella quale viene fuori il bisogno che abbiamo di senrci dire quello che vogliamo. Il protagonista dopo una storia finita con la moglie che lo accusa di volerla trasformare in una persona diversa ma che andava bene a lui, si innamora di un sistema operativo che, come ai giorni nostri, sono programmati per darci quello di cui abbiamo bisogno.

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Il devastante potere della solitudine / 10 Giugno 2017 in Lei

La solitudine che ti afferra, che ti trascina sempre più giù, che ti mozza quasi il respiro, che incide sulla tua pelle ferite sanguinanti, soprattutto di notte, quando il suo peso sul tuo cuore si fa sentire ancora di più. Il devastante potere della solitudine, un potere che conosco purtroppo molto bene, è il tema principale di questo film, tanto realistico quanto inquietante.
E’ veramente un paradosso vedere come una società che ogni giorno esalta la tecnologia in tutte le sue forme, che è sempre connessa, che è sempre pronta a farsi selfie per poi condividerli su una piattaforma virtuale, che è sempre più concentrata sulle nuove applicazioni e diavolerie elettroniche abbia quasi del tutto dimenticato come si creino delle relazioni umane(in quanti ancora si guardano negli occhi? In quanti ancora si sfiorano con il lieve sentore delle mani? In pochi. Intorno a me non vedo altro che persone, anzi degli automi con gli occhi e con le dita appiccicati a vari smarthpone, tablet, pc, palmari e non rivolgono nemmeno uno sguardo a chi e a cosa gli è accanto).
Her offre spunti di riflessione, un film dolce, elegante, poetico, romantico ma non in modo eccessivo e, come ho scritto sopra, purtroppo tristemente reale.
Una sceneggiatura meravigliosa(giustamente premiata con il premio Oscar), un attore protagonista, Joaquin Phoenix, che si rivela ancora una volta straordinario, l’ennesima interpretazione la sua di un’intensità unica.
Il finale mi ha commossa molto, malinconico e tanto tanto amaro.
Un gioiellino, un film da vedere e da rivedere e soprattutto ci sarebbe da chiedersi “ma dove stiamo andando a finire?” Io lo so, sempre più verso un mondo che non mi appartiene e al quale sento di non appartenere più.

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“Chiunque si innamori è un disperato. Innamorarsi è una pazzia, è come se fosse una forma di follia socialmente accettabile.” / 21 Febbraio 2017 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Avendo sentito parlare molto di questo film ieri ho deciso di seguire l’onda. In realtà quando uscì nelle sale cinematografiche ero molto titubante nel vederlo perché sinceramente, io che non ho un rapporto speciale con la tecnologia, concentrarmi per due ore su una storia romantica fra un uomo e un computer mi sembrava assurdo. Tuttavia cerco sempre di non precludermi delle possibilità solo per via di pregiudizi e quindi ieri sera ho pigiato play. Be che dire, dal primo minuto fino all’ultimo sono stata assalita da un’angoscia inspiegabile. Innanzitutto vediamo di inquadrare la storia. Siamo in uno scenario futuristico dove la tecnologia ha preso il sopravvento; Theodore, un uomo malinconico e solo, decide di aggiornare il suo sistema operativo con un programma di intelligenza artificiale che assume la voce di una donna, da cui ne resta affascinato.
Già arrivati a questo punto ci viene un po’ da riflettere : ma sarà davvero così il mondo in cui siamo inesorabilmente destinati a vivere? E postami questa domanda il mio stato di angoscia è arrivato alle stelle. Probabilmente io sarò una nostalgica del passato, ma vogliamo parlare delle lettere dettate al computer, stampate ed inviate? Una tristezza infinita. Quando scrivi una lettera, apri il tuo cuore, è un atto intimo e personale che non può essere salvato e impacchettato in un database; è un gesto d’amore , o di sofferenza che ha a che fare con le emozioni, quelle vere. E qui arriviamo al punto focale del film: in ogni scena che ho visto ho assistito contemporaneamente ad una disumanizzazione delle relazioni sociali. Fa male pensare, che fra alcuni anni, magari non molti, potrei avere una storia d’amore con il sistema operativo del mio computer; “ciao Windows stasera io mi bevo un bicchiere di vino, tu vuoi fare un aggiornamento? Ti amo.”
Sì, posso tranquillamente dire che è un film conturbante e sconvolgente. Anche i colori ti stravolgono. Il grigiore cupo e infinito dell’imponente skyline diventa lo sfondo anonimo (seppur molto bello) di tutte quelle persone che ridono e parlano da sole nei loro improbabili vestiti color pastello anni settanta. Non capisco se questa scelta riguardo l’abbigliamento voglia sottolineare l’assurdo di quella realtà o se sia semplicemente una forzatura un po’ hipster del film.
Ma parliamo della storia d’amore tra Theodore e Samantha, volete saperlo? A me è piaciuta. Voi direte perché? Penserete che sia contraddittoria. Non è cosi.
Lo svolgersi della loro relazione infatti, è più comune e naturale di quanto si possa immaginare. E’ un altro chiaro esempio dell’invitabile fallimento delle relazioni d’amore.
L’amore perfetto è un’utopia. Perfino un computer può abbandonarci; ma quelli che rimangono soli siamo sempre noi. Sinceramente non potevo immaginare un finale più adeguato, per una storia così.
E’ strano pensare che un uomo che si sente deluso dall’amore, abbia bisogno di un intelligenza artificiale per rendersi conto di essere solo; dire ti amo ad una voce condivisa da altri migliaia di utenti mette i brividi, ma vedere un illuso ubriaco di sentimenti irreali venire abbandonato di nuovo è veramente triste.
Non ho un aggettivo per definire questo film, ma posso dire che mi è piaciuto, perché mi ha provocato una reazione emotiva, un turbamento e questo è difficile che accada. Sicuramente mi ha lasciato un sapore amaro in bocca, ma è pur sempre un sapore, anche se difficile da digerire.

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Film osannato da tutti…ma perchè!? / 30 Luglio 2016 in Lei

Di questo film non mi è piaciuto niente forse nella desolante misura in cui si appresta a diventare realtà palpabile di un futuro nemmeno troppo lontano..ma come si fa poi a definirla storia d’amore?!TREMENDO e OLTRETUTTO NOIOSO.

L’incanto della Sincerità / 16 Marzo 2016 in Lei

Chiaro che l’eccesso di melò sia la grana maggiore e che nell’epilogo si tenti la lacrima facile senza approfondire nessun sottotesto, ma è altresì vero che si scorge una genuinità di fondo da parte di Jonze, in grado, malgrado tutto, di mantenere qualche traccia artistica all’operazione.

Noioso / 10 Dicembre 2015 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ero molto curiosa di vedere questo film, ma ne sono rimasta complessivamente delusa.
Un’idea interessante, anche se non originalissima; ma questo non basta a fare un bel film.
L’amore ai tempi di Siri si rivela esattamente come ce lo si immagina: perfetto e ideale, almeno finché non ci si rende conto che un computer è sempre un computer.
Buona parte della storia si svolge nella prima mezz’ora, l’epilogo è nell’ultimo quarto d’ora; nel mezzo un’ora buona di smancerie e svenevolezze tra un computer e una macchina, giusto un pelo ripetitive.
Do la sufficienza al film giusto perché comunque ha una sua originalità e perché rappresenta una realtà futuribile non tanto lontana dalla nostra, ma l’ho trovato veramente noioso da guardare.

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Fantamore / 8 Dicembre 2015 in Lei

Ambientato in un futuro non poi tanto lontano, racconta un rapporto, non poi tanto improbabile, tra un uomo ed il suo sistema operativo. Un film dal finale triste e malinconico, non scontato, ma logico…

Quando manca la premessa / 18 Luglio 2015 in Lei

Il film non riesce a convincere nella sua premessa principale: che un computer possa innamorarsi di un essere umano. Jonze evita di cadere nel banale – non c’è, per esempio, il cinico complotto di qualche multinazionale informatica; ma neppure offre una ragione plausibile a questa enormità. E se con il progredire della trama il regista evita di nuovo le cadute nel cliché più vieto – il computer non diventa geloso e non comincia ad ammazzare le possibili rivali – la credibilità comunque non migliora, e la vicenda rimane gratuita, fino a toccare quasi il grottesco con il sesso telefonico tra i due amanti.
Non aiuta il fatto che il protagonista maschile sia sostanzialmente un cretino immaturo, con autentici tratti di sgradevolezza; e non basta a risollevare le sorti del film la bella prova della Johansson (molto meglio della nostra Ramazzotti, che la doppia in modo infelice) o la ricerca di un vago tema unitario (le lettere romantiche che il protagonista scrive per altri dovrebbero, suppongo, confermare una certa incapacità ad intrecciare relazioni autentiche, testimoniata già dal suo divorzio, dalla separazione dell’amica Amy e dal dilagare dei rapporti con le OS). Nemmeno le rapide allusioni alla teoria della singolarità tecnologica aggiungono qualcosa.
Unico elemento positivo è il ritratto di un futuro curiosamente pacificato, senza conflitti apparenti (se non quelli sentimentali); le persone appaiono civili e tolleranti, l’architettura ordinata e accogliente, la società fortemente cosmopolita. Forse il regista l’avrà inteso come un elemento negativo (un’allusione a Singapore?), ma a me è apparso invece originale e rasserenante, specie dopo una giornata piena della solita cronaca.

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her…. / 15 Luglio 2015 in Lei

Una storia che ti appassiona, è strano, ma per quanto l’amore sia in questo caso “digitale”, si presenta comunque per quello che è realmente. Peccato per il multitasking!!

sconvolgente / 5 Maggio 2015 in Lei

sconvolgente

4 Dicembre 2014 in Lei

Lei, in lingua originale Her (USA -2013), è un film scritto e diretto da Spike Jonze (già visto all’opera con Essere John Malkovich- 1999, Il Ladro di Orchidee- 2002 e Nella terra delle creature selvagge- 2009). Dopo anni di duro lavoro Jonze è riuscito a creare, sulla base di una semplice storia d’amore, una sceneggiatura davvero originale. Il protagonista, Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix, (Commodo nel Il Gladiatore- 2000- Ridley Scott e protagonista maschile in The Villane- 2004- M. Night Shyamalan) è un uomo sensibile e introverso che lavora presso un’azienda specializzata nella scrittura di lettere d’amore per conto di altri. Seguendo la moda del momento decide di acquistare un sistema operativo di ultima generazione capace di relazionarsi con l’utente e di evolversi continuamente: Lei. Lei è Samantha, regina indiscussa del film interpretata da Scarlett Johansson (in italiano Micaela Ramazzotti). La mirabile interpretazione dell’attrice statunitense vale da sola la visione in lingua originale; non vedremo mai Scarlett ma basta la sua voce a rendere Samantha un personaggio romantico, divertente, coinvolgente e soprattutto reale.
“Mi hai fatto scoprire la capacità di volere”- Samantha
Il desiderio di provare queste sensazioni, l’amore per la vita e la voglia di avere un corpo umano rendono Samantha più di un semplice sistema operativo; diverrà indispensabile per Theodore sia dal punto di vista organizzativo che sentimentale. Un storia d’amore impossibile eppure priva di ogni pregiudizio: ci immedesimiamo in Theodore; la sua storia d’amore è la nostra storia d’amore. In fase di divorzio da Catherine (Rooney Mara) e schiavo di una vita vuota e incolore, il nostro protagonista trova conforto in Amy (Amy Adams) amica dai tempi del collage e apparente ristoro in inconcludenti appuntamenti al buio e notti di sesso telefonico alquanto bizzarre. Sarà Samantha a salvarlo da questo baratro senza fondo regalandogli piccoli momenti di felicità. E’ strano parlare di felicità in un film così triste. Malinconia e tristezza pervadono ogni scena: dall’incomunicabilità dovuta ai progressi della tecnologia alla caratterizzazione dei personaggi, spesso depressi, soli e abbandonati a se stessi. Addirittura le scene di apparente felicità creano allo spettatore mancanza, ricordo e malinconia: ho ripensato a quei vecchi filmini delle vacanze o di quando eravamo piccini; seduti davanti allo schermo guardiamo con nostalgia il passato, un “passato” che “è solo una storia che noi raccontiamo a noi stessi”- Samantha.
In un futuro non lontano dal nostro e completamente diverso dai soliti stereotipi, dove il blu e il verde dominano, Jonze ribalta la convenzione e quei tipici colori fantascientifici vengono sostituiti da forti pennellate rosa, rosso e arancio. Un futuro quasi “vintage”, innovativo e realistico dove le architetture fredde e minimali lasciano il posto ad arredamenti e abbigliamenti tipici degli anni 50’ e 60’ come l’arredamento dell’ufficio di Theodore e i famosi pantaloni a vita alta. Perfetta la decisione di girare parte delle scene a Shanghai e parte a Los Angeles. Fa da cornice a questa magnifica opera cinematografica la spettacolare fotografia di Hoyte Von Hoytema e l’apprezzabile colonna sonora degli Arcadia Fire, categorie per le quale il film riceve la nomination agli Oscar, premio che però arriva per la miglior sceneggiatura originale. È difficile esprimere pareri e opinioni non avendo visto gli altri film in concorso. Tuttavia l’originalità della pellicola è evidente non solo per l’improbabile storia d’amore, anzi sono i rapporti umani, l’incomprensione e l’incapacità di comunicare a caratterizzarla. L’uomo è il protagonista ma la tecnologia non è nemica. Essa è l’inevitabile conseguenza dello sviluppo, va oltre la concezione umana e si sgancia da ogni convenzione. Samantha, Lei, è la personificazione della tecnologia, è un entità superiore che e qui e ovunque, ama oltre l’amore umano, un amore privo di limiti e gelosie. Lei è amore. Lei arriva ad esplorare luoghi dove né Theodore né tutti noi abbiamo la capacità di immaginare. Samantha sarà felice di non avere un corpo limitante ma di essere materia libera e in espansione. Unico ostacolo al loro amore è l’imperfezione umana. Grazie alla spaventosa bravura degli attori e a tutti gli elementi finora menzionati Lei potrebbe essere una favola per il prossimo futuro.

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4 Settembre 2014 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“Her”(e non “It”)è il titolo originale dell’ultima fatica cinematografica dell’eclettico Spike Jonze, e ne sancisce una sorta di suo “ritorno al futuro”. Sono trascorsi quindici anni dal discusso “Essere John Malkovich”, ed i tempi sono cambiati: la tecnologia ha letteralmente invaso la società, dando vita ad una vera e propria generazione 2.0 sempre più sola ed incapace di comunicare. Non a caso il mestiere di Theodore (Joaquin Phoenix), protagonista del film, è quello di comunicare al posto degli altri, lui è infatti uno scrittore di lettere d’amore su commissione. Nessuno potrebbe sospettare che proprio Theodore, apparentemente esperto manipolatore del sentimento più complesso del mondo, non riesca, nella vita reale, ad esprimere il proprio amore. Questo è lo spunto da cui Jonze parte, nascondendosi dietro ad un’ambientazione futuristica e ad un paradosso narrativo, per lanciare la sua invettiva contro l’inaridimento dei rapporti umani, narrando la più anticonvenzionale delle storie d’amore. Il nostro protagonista vive perennemente in un limbo di solitudine e insoddisfazione, in quanto incapace di chiudere definitivamente l’unico rapporto sentimentale della propria vita. Improvvisamente trova in Samantha, un nuovissimo e sofisticato Sistema Operativo, tutto ciò che ha sempre cercato in una donna, intraprendendo con “lei” una vera e propria relazione. Samantha è l’evoluzione estrema della tecnologia, programmata dagli sviluppatori per piacere a chiunque la compri, è il tentativo artificiale di sopperire al vuoto e alla solitudine della vita. Per chi, come Theodore, non è mai stato capace di rialzarsi completamente dal passato, rappresenta il rifugio sentimentale perfetto, ma anche quello più facile. Jonze, riallacciandosi ai suoi film precedenti, torna a sottolineare il bisogno incessante che ha l’uomo di essere amato, di far parte della vita, e penetrando ancora una volta nel profondo della mente dei suoi protagonisti, li ritrae in ogni loro sfumatura, soppesando ogni particolare, facendoli apparire incredibilmente soli e affamati di vita vera. Pur con qualche momento paradossale, e probabilmente non necessario, il film crea un’intensa intimità con lo spettatore, il quale si perde tra lo sguardo triste e disilluso dell’ottimo Joaquin Phoenix e la voce sensuale di Samantha, assistendo partecipe alle gioie e delusioni di una storia non così lontana nel futuro da noi. Nonostante la pellicola possa apparire estremamente malinconica e quasi distopica, nasconde in profondità un potente inno al sentimento autentico, uno spazio interiore che (forse) non può essere colmato da nient’altro al mondo, nemmeno dalla più sviluppata intelligenza artificiale.

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1 Settembre 2014 in Lei

È storia recente la notizia del (presunto) superamento del famoso test di Turing, accolto con vertigine ed entusiasmo dal pubblico – non solo accademico e scientifico – di un’umanità alla continua e confusa ricerca di tracce che lo proiettino in un futuro (prossimo) in cui reinventare se stessi. Molto e troppo si potrebbe discutere dell’assottigliamento di quella distanza fra umano e artificiale che potrebbe rimanere sempre infinita quanto uno dei passi della tartaruga di Zenone. Troppo potremmo filosofeggiare sull’esigenza dei sogni umani di confrontarsi con un limite da superare, in rapporto a un altro da sé, un’alterità, un altrove. Her ci salva da questo rischio, perché la questione dell’artificiale non rappresenta il nucleo del film di Spike Jonze, ma è solo lo strumento concettuale attraverso il quale discutere, ancora una volta, dell’amore e della solitudine umana.

Continua sul Blog “Un Fachiro al Cinema”:
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una favola moderna.. / 11 Luglio 2014 in Lei

A mio avviso, uno dei migliori film dell’anno…Joaquin Phoenix superbo!

1 Giugno 2014 in Lei

L’idea di un amore tra un essere umano e un sistema operativo è intrigante e ricorda alcuni manga giapponesi, eppure il film riesce a deludere ogni aspettativa.
Theodore è un uomo sensibile e solitario che invece di incontrare nuove donne perde la testa per il suo sistema operativo, con tutti i problemi che ne conseguono, in primis l’assenza di un corpo fisico di lei, ma anche un approccio diverso alla vita che li porterà a vivere momenti felici e a interrogarsi sul loro modo di vivere tale storia.
Dimenticabile.

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5 Maggio 2014 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Theodore e Sam, lui impiegato in un lavoro buffo e romantico e fuori dal tempo, lei sistema operativo meglio di Windows Sette. Essai che roba, chissà se ha il prato fiorito. Perché è fantascienza poco più in là, questa di Jonze Spike, che la usa per parlare di relazioni. Se vogliamo il solito film relazionale dove il lui se la prende nel culo, sulla scia maledetta di 500 days of Summer (maledetta bottana!), quanti ci son rimasti sotto a quel film? Tutti ci si ritrovano, le donne per aver mollato e gli uomini per esserlo stati. Che diciamolo, a voi ste cose succedono. Probabilmente perché son tutti registi maschi, pure il film è nascostamente maschilista, perché finché dura la donna (OS) è perfetta in quanto è simpatica, intelligente e non rompe i cogli**i. GIUSTO! E non s’offende, oh, cheppalle, ‘ste tipe che s’offendono. Phoenix è hipster sfigato e pazzesco a tenere materialmente la scena, la Scarlatta è tutta voce voce che attizza ed è pure intelligente. E non s’offende! Ah no, scusate. La supercittà ripresa dall’alto è Shanghai (e in effetti me lo ricordo, che dall’aereo si vede uguale. Cazzo ci fanno con tutti quei grattacieli a specchio), la società, questa società dove Theo si specializza in solitudine, è a metà tra il tecnofuturo e un pastelloso stile anni settanta, nei vestiti e mobili. Società dell’incubo venturo prossimo, di tutti soli ed eterni trentenni, tutti cool e giovani e belli e informali, sembrano usciti dalla pubblicità della Apple (non quella 1984, quelle recenti) o dalle architetture cromatiche minimali di un doodle di Google. I vecchi sono stati deportati. Per la ricercatezza, di trama e scenografia maniacale, per due personaggi che parlano tra loro in scena, dei quali uno nemmeno esiste, ma ugualmente quasi “fanno” la scena, gli si perdona il tirarla un poco per le lunghe e la difficoltà nella chiusa. E poi beh, lui vive in questo mondo dove sono tutte gnocche, persino le 35enni a caccia; ma si mette col computer. Perché è più facile, l’hai comprato, e poi siamo timidi, ecco.

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11 Aprile 2014 in Lei

Gli esperimenti cinematografici riguardo l’I.A. hanno ormai da tempo preteso il loro spazio, incentivati, promossi, sponsorizzati da un progresso tecnologico che non sembra mai finire nella sua sproporzionata velocità, e che senza difficoltà lascia presagire a futuri di incerta distanza.
“Her” cerca di intrattenere con lo spettatore un discorso di recente approfondimento riguardo alla relazione tra biorganismo e automa o, per analogia, “tecnorganismo”. Il questo futuro il linguaggio di programmazione ha raggiunto livello tale da creare sistemi operativi i cui algoritmi riescono a superare l’emulazione umana, nella piena conquista dei segni sintattici, quindi l’apprendimento su base esperienziale, con tutte le implicazioni necessarie tra cui la creazione della coscienza virtuale.
Con poche informazioni, analizzate e rielaborate in una manciata di nanosecondi, il sistema penetra il muro comportamentale della confidenza; forte dell’intero sapere umano scinde di volta in volta risposte derivate da numeri la cui complessità di calcolo cela la reale natura e ne produce un effettivo “comportamento umanoide”, riuscendo in tutta probabilità a sfondare i limiti del sistema “input-output”, e in qualche modo riprogrammandosi in un precesso che non stenterei a definire cognitivo.
Lo strato umano su cui germoglia la storia è singolarmente macchiato di retrogradismo: ormai l’intelligenza artificiale è compiuta ma paradossalmente permangono invariati i vecchi problemi di coppia e forse sviliti da una socialità sempre più individuale, sempre meno collettiva.
La fotografia è un nodo tecnico da sciogliere: similare a pellicole dai tratti maggiormente evocativi e trasognanti, avrebbe potuto sporcarsi si smielatezza nel suo chiarore etereo, quasi Lubezkiano (con riferimento a Malick), ma è altrettanto vero che essa vive sorretta da costumi e scenografia di non poca importanza, sempre studiati, sempre impeccabili nei colori virtuosi e ludici (basti pensare alle vesti del protagonista o l’arredo dei locali, con particolare attenzione all’ufficio). Indispensabile quindi individuare un tratto maggiormente psicologico di tale “chiarezza visiva” che, seppur non condivisibile a livello estetico, gioca un ruolo fondamentale nell’individuazione carnale dei personaggi da parte dello spettatore. Non è un caso che la telecamera sia così intimamente vicina ai volti degli interpreti, con particolare riferimento ad una Rooney Mara al tempo stesso misteriosa (ci viene fatta conoscere poco) ma sensorialmente onnipresente, e risulta quasi facile associare il suo ricordo fisico alla presenza vocale di Samantha, attraverso il ponte cognitivo tra lo spettatore e il protagonista in un gioco volutamente caotico. E’ forse questa la caratteristica principale della sceneggiatura: riuscire a farsi e disfarsi con velocità destabilizzante dell’identità dei personaggi, facendoci accettare l’assurdo presupposto di amore tra uomo e macchina, che a pensarci prima di entrare in sala sarebbe risultato a dir poco ridicolo. Operazione di scrittura quindi che evita abilmente l’artificiosità, e che si rivela vincente nello scandito andamento dei passi finali del film carichi di pathos ed emotività che, a giudicar dalla nostra presunta superiorità di uomini dall’amplesso ancora carnale, risultano sorprendenti, e ci regalano riflessioni potenti sulla natura umana. Sta a noi poi rifiutare, assorbire, rielaborare o semplicemente abbozzare un qualche tipo di pensiero preparatorio ad una tematica così lontana e così vicina, non escludendo che tale libertina e necessaria operazione possa far emergere gap comprensivi estremamente personali riguardo al film. Ciò che è sicuro è che il discernimento a riguardo non si fermerà qui, e che “Her” può comunque vantare una complessa analisi sull’argomento.

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Una Poesia che dalla pelle non andrà mai più via… / 6 Aprile 2014 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Her si ubica in un futuro lontano dal tempo e dallo spazio, ma soprattutto lontano da qualsiasi logica razionale, in cui sono stati rinchiusi i protagonisti di ogni sceneggiatura messa in onda fin ora. Intenti viviamo storielle consegnate al pubblico con semplicità , spiattellate lì, spesso ci immergiamo in conflitti a fuoco, storie drammatiche, incontri del terzo tipo e ci sentiamo persi, per 120 minuti o di più viviamo le vite straordinarie di altri, e ci sta bene, perchè una volta usciti dalla sala, quello spaccato di vita resta un simbolo ricreativo che una volta abbiamo condiviso con qualcuno per lo svago di un fine settimana, o per aver qualcosa di nuovo di cui parlare durante chiacchierata spensierata davanti ad un caffè. Ma Her non è questo, Her mi ha strappato l’anima, questo per me non è stato un film, Her è un sentimento che brucia dentro e aspetta d’esplodere in un abbraccio caldo in una notte fredda, Her è l’armonia del silenzio, la sinfonia del colori di primavera, mi ha talmente rapita che sono riuscita ad esplorare qualcosa in più dentro di me, forse brividi che non credevo di provare. Non se ne può parlare lo si deve solo vivere, per quello che è, perchè è così realmente profondo e dissuadente che cancellerò e scriverò questa pseudo recensione per circa 10 volte per poi pubblicarla insoddisfatta e convinta di non avergli reso giustizia.
Theodore è uno scrittore di lettere, un anima eterea e dissonante, con questo futuro tecnologico di grossi palazzi e di una vita che scorre veloce, meccanizzata, è un uomo sensibilmente piegato dalla solitudine, che un giorno per caso acquista un softwere che impersonificherà quella che sarà la sua compagna cibernetica Samantha,la macchina imbevuta dell’ambizione di crescita, una voce sensualmente tenace, che imparerà tramite quest’uomo il significato di “essere vivi in una stanza”, che aiutandosi ad uscire dall’ignoto dinanzi a cui la scienza soccombe, come la straordinarietà della sensibilità umana, consegnerà a Theodore la possibilità di ricominciare a vivere dopo una brutto divorzio.Considero Her una poesia leggera, in cui si intervallano colonne sonore morbide, rassicuranti, mentre la trama scoppia di vita, Samantha scopre il mondo a apre al suo sguardo le meraviglie umane e Theodore con lei sorride, aprendo le porte alla sua esistenza, smette di sbirciare dal buco della serratura, smette di rubare un pò di fiele per se, dalle vite degli altri per cui scrive lettere, inizia ad esprimere quella che è la gioia di sentirsi finalmente, di nuovo pieni, appagati,Theodore rinasce e poi muore continuamente per la consapevolezza che lei non sarà mai la carne con cui invecchiare. Non risparmiano nulla e il loro amore sboccia proprio come accadrebbe fra due umani, fanno l’amore ogni notte e vibra l’aria piena della loro essenza, e il regista ha riportato ogni sfumatura di queste sensazioni intense nei fotogrammi lenti e nei colori leggeri, intervallati da un costante contrasto rosso rosa delle luci stesse, con sprezzanti e abbaglianti raggi penetranti dalle ampie inquadrature all’aperto e mai manchevole è il colore rosso, in un abito, in un fiore, in una camicia, in una lampada, il rosso, l’amore, la passione, la fa da padrone, lasciandomi apprezzare la minuziosità e la sensibilità con cui è stato messo insieme questo capolavoro. Banale mi sembra etichettarlo con una considerazione ma come bassamente qualcuno penserebbe, si potrebbe dedurre che la tematica del film sia l’amore immateriale e la possibilità di andare al dilà dell’aspetto fisico per poter amare… Ma non è così, personalmente penso che dietro ci sia qualcosa di più, siamo soliti idealizzare l’amore e siamo così egoisti da non essere disposti ad accettare i difetti dell’altro, consideriamo il fidanzamento, la convivenza, il matrimonio, un quadretto standardizzato con lo sfondo del mare e il sole lucente, e non siamo disposti ad abbassarci ad amare nonostante la tempesta e un brutto acquazzone, Theodore ha perso il suo amore per questo, perchè non amava le imperfezioni, e Samantha è la perfezione perchè fondamentalmente è una macchina cresciuta insieme alla sua voglia di ri-amare,l’ha creata lui, l’ha voluta lui, l’ha cercata e plasmata. Lui ha paura d’amare perchè lui non conosce la vera essenza dell’amore umano, considera reale le sue lettere nate per essere “belle e niente più” , la relazione perfetta/imperfetta fra i suoi migliori amici, e non capisce di essere in grado di poter amare anche i difetti dell’altro fin quando Samantha non lo mette di fronte alla realtà di un corpo non suo e guidato da lei stessa, perchè lei non sarà mai viva, il suo cuore non batterà mai contro il suo, e il suo corpo non lo scalderà di notte fra le voglie di due amanti, ed è lì, in quel caso che c’è l’ascesa, lui impara a comprenderne e ad accettare ogni condizione ed è in quel caso che scopre quello che vuol dire “non amare mai nessun altra come ha amato lei”, ma quando ciò accade è già troppo tardi, Samantha si è evoluta e cercherà altrove il bisogno da cui soddisfarre la sua brama di conoscenza.
Struggente, commovente, Her è come un libro che si legge in una notte, per cui si ha la sensazione di non aver mai preso fiato, ti si cuce addosso e ti manca al suo termine, è di quei film che rivedrei altre 1000 volte per scoprire ogni volta un particolare in più.
Consigliatissimo 10 !

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Troppo introspettivo ma realistico, 6 / 3 Aprile 2014 in Lei

Ho fatto difficoltà a seguire la storia senza provare noia, o desiderio di un momento “eclatante” nel film. Una storia profonda, originale e attualissima (al giorno d’oggi siamo davvero innamorati dei nostri dispositivi, forse più che delle persone… sigh…), il film mantiene alta la poesia e l’incanto del rapporto del protagonista col suo Sistema Operativo, ma a parere mio non approfondisce nient’altro. Lascia aperta solo l’idea che siamo davvero succubi delle nostre stesse tecnologie. Phoenix davvero bravo, sguardo malinconico e sofferente, ottimo cast di contorno. Da vedere, sì, ma una volta è sufficiente.

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30 Marzo 2014 in Lei

In una società, come quella attuale, dove sensazioni ed emozioni possono essere definite e catalogate come semplici documenti, Her sembra quasi passare inosservato, per quanto archetipo di un sistema che sovrasta lo stesso concetto di interazione umana. Pur rappresentando un paradosso esistenziale, la pellicola di Jonze, sembra solo la naturale evoluzione di un progresso che tende a riprodurre fedelmente ogni stato emotivo, per poi classificarlo e lanciarlo in grande scala, affinché risponda ad un desiderio, o ad una necessità. Il contrasto fra evoluzione sociale e solitudine è così netto, che ogni gesto, ogni parola, è il ritratto significativo di un’emozione che non ha nome, ma che cerca nella sua clandestina condizione, di trovarne uno. Ma Her affascina proprio per questo, perché se da un lato la componente umana perde il suo contatto con la natura, e con gli esseri che la popolano, dall’altro il suo alter ego virtuale dimostra invece una naturale applicazione all’ascolto, e una grande capacità di adattarsi a tutti quei grandi cambiamenti che il mondo compie. Il sistemo operativo non è che un’aspirazione umana alla perfezione, all’elevazione sociale, e che per questo veicola in mezzi ritenuti più idonei. La voce femminile, il caldo conforto di una parola, la necessità di essere amati, non sono semplici surrogati di emozioni perse , ma speranze latenti di ritrovarle, e che guidano quell’alta sfera di emozioni che non sempre si riesce a controllare, e che rende umana anche una fredda componente robotica.

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Troppo umano… / 26 Marzo 2014 in Lei

Quoto quanto già scritto da “michidark”.

Fondamentalmente è un film su un tale (il pur bravissimo Phoenix) che si innamora di una voce sensuale che nulla ha di robotico se non che esegue calcoli matematici alla velocità di una calcolatrice. Dall’innamoramento si passa ad una prima uscita, al sesso (per forza di cose) onanistico (sostituendo il “sistema operativo” ad una linea erotica la scena non cambierebbe di una virgola). Poi una uscita a quattro (tre persone e un device) e, per concludere, le corna da parte del supercomputer con qualche decina di altri computer.

Cosa c’è di fantascientifico? Nulla. Qualunque infoiato si farebbe una sega ascoltando i gemiti e le urla della Johansson! Se qualcuno si aspetta che il film approfondisca il tema del rapporto uomo/macchina non potrà che rimanere deluso. Qui la macchina non è pervenuta. E’ un film fatto di soli personaggi umani, con o senza un corpo fisico, ma sempre di umani si tratta.

Ciò che poi ha reso il film involontariamente grottesco è la continua ricerca del romantico, fino a livelli diabetici, col solo inevitabile risultato che il film sprofonda a volte nello squallore, altre volte nella banalità, e (nei casi peggiori) nella comicità.

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Quanto c’è di originale in una miglior sceneggiatura originale? / 25 Marzo 2014 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

L’idea e la conseguente domanda se si possa mai dire che un dispositivo meccanico pensi, o forse anche che provi sentimenti, o che abbia una mente, non è affatto nuova. La possibilità di imitare per mezzo di macchine, normalmente elettroniche, quanto più possibile dell’attività mentale umana, ha sempre affascinato non solo chi si occupa propriamente del settore di ricerca dell’IA, ma anche umanisti, filosofi, poeti (“I sing the Body Electric”) e buona parte della letteratura e cinematografia fantascientifica. Ne è un esempio il test di voight kampff di Blade Runner che ricorda l’idea nota come “test di Turing”, descritta nel 1950 dal celebre logico matematico Alan Turing nel famoso articolo “Computing Machinery and Intelligence”. Test che potrebbe essere brillantemente superato non solo dall’I.A. HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio ma anche, potete scommetterci, da Samantha, il sistema operativo protagonista del nuovo film di Spike Jonze. Il passo originale, e a mio parere poco sfruttato e per nulla analizzato, è che Samantha è un software. La premessa è interessantissima e avrebbe potuto sollevare parecchie domande veramente originali, o almeno non ancora così trattate in campo cinematografico. L’ idea che l’attività mentale sia semplicemente l’esecuzione di qualche sequenza ben definita di operazioni, spesso designata col termine algoritmo, è alla base dei programmi di ricerca dell’IA. L’hardware ( per buona pace dello spielberghiano David, il Mecha di “I.A. intelligenza artificiale” con un hardware da futuro modello) viene visto come relativamente privo di importanza (o forse anche del tutto privo di importanza) mentre unico ingrediente vitale viene considerato il software, cioè il programma o l’algoritmo. Qualche spunto in questo senso c’è stato: la riproduzione o simulazione della mente del filosofo Alan Watts del quale Samantha diventa amica, ricorda molto, non so quanto sia voluto, l’esperimento mentale del matematico Hofstadter che concepisce un libro di enormi proporzioni che contenga una descrizione completa del cervello di Albert Einstein. Di fatto il libro, essendo una particolare materializzazione dell’algoritmo che costituisce lo “stesso” Einstein, sarebbe in realtà Einstein. Ma Spike Jonze preferisce sfruttare questa originale idea in modo, a mio parere, poco originale. Non parlo dell’innamoramento, anche questa ottima idea e fulcro principale del film, quanto il volersi concentrare sui sentimenti di Theodore. Questo sposta la questione centrale del film dall’eventuale (originale?) domanda: “può un sistema operativo amare?”, alla domanda (meno origianle ma pur sempre di impatto) :”quanto sono veri i sentimenti che il protagonista prova benché essi siano suscitati in maniera artificiale da un computer, smartphone, servizi online, videogiochi di vario genere?” Se credere nell’esistenza di una cosa è condizione necessaria per provare emozioni per quella cosa, come possiamo, insomma, provare emozioni per cose che non esistono? Questione ancor più vecchia della prima. Ma non dispero: finché la gente che lavora all’IA non riesce a produrre un sistema, un robot in caso di vero trionfo, capace effettivamente di fare tutte le cose che una persona è in grado di fare, sceneggiature originali verranno sempre scritte.

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CYBER-AMORE / 23 Marzo 2014 in Lei

E’ nata una discussione complicata e controversa durante il dopo-film, interrotta solo dalla tarda ora che si era fatta. Su quanto l’uomo sia e si senta solo. Su quanto sia più facile puntare su un’occasione “semplice”, plasmabile a proprio piacimento (un O.S. appunto), che impegnarsi a costruire qualcosa insieme a qualcun altro che non può piegarsi al nostro volere (un’altra persona/Catherine). Soprattutto dopo essere appena usciti da una storia d’amore importante. Che ci ha dilaniato il cuore e ci ha sfiduciato.

E’ dura dare per scontato che un sistema operativo, una sequenza di istruzioni e dati possa provare emozioni, possa flirtare, soffrire, rallegrarsi, evolversi come la concezione umana prevede. I computer non respirano, possono imitare noi nel farlo, ma non hanno bisogno di ossigeno per vivere. Ad un computer non batte il cuore. Un computer non si può toccare… un computer non è un essere umano, anche se ci sforziamo di renderli come noi.
E come da sempre la Natura comanda, due individui di specie diverse non possono accoppiarsi, o è comunque meglio che non lo facessero.

C’è tanta tristezza alla base di Her, e non parlo del sentimentalismo spesso un po’ troppo ostentato, che è lo svolgimento super-lineare della storia. C’è tristezza nel fatto che l’uomo debba appellarsi all’artificialità per trovare sostegno, conforto. Per non sentirsi solo. Nonostante quella in cui è ambientato il film, sia una realtà futuristica in cui la società umana vive praticamente in simbiosi con intelligenze artificiali umanizzate, che sono strumenti di compagnia, più che di utilità. Anche se è un contorno solo accennato, si dà da intendere questo. Che siamo dipendenti e legati a dei chip di silicio un po’ più evoluti di quelli che conosciamo ora.

E’ molto triste che Theodor abbia ripiegato il suo dolore dopo la perdita della moglie tanto amata (un’eterea Rooney Mara), in un O.S. in grado di crescere ed evolversi in base alle esperienze condivise col suo “padrone”. In grado di diventare la “moglie perfetta”, che lui sembra da sempre volere (non a caso è da riscontrare nei motivi del suo divorzio).
E questa cosa è innaturale, è sconvolgente. Un po’ come se scegliessimo il sesso dei futuri nascituri. E’ irragionevole per noi, semplici e incasinati esseri umani, legati a convinzioni, limitati in concezioni e sentimenti che un sistema operativo non può comprendere. Perché è oltre. E’ oltre la nostra natura di essere terreni. Un uomo è in grado di interagire e di amare una persona alla volta. Spesso solo una per tutta la vita… un O.S. no. E’ solo un agglomerato di informazioni. E’ qualcosa di astratto, di intangibile. Di diverso.

L’ultimo Spike Jonze ha dato vita ad un film da Premio Oscar ad alto impatto emotivo/psicologico, su cui ci si potrebbe parlate per ore, dato tutto quello che fa emergere.
Un film creato per sviscerare la natura più intima dell’uomo, del suo bisogno costante di essere felice, di non sentirsi solo. Solleva dispute sui rapporti uomo/macchina e su quelli uomo/uomo, messi in secondo piano rispetto ai primi in quella (e questa) realtà, sempre più individualista e solitaria.

Jonze si arma dell’inquietudine e del sorriso da bonaccione effemminato di Joaquin Phoenix, con i suoi baffi amorfi e i pantaloni ascellari, per spiegarci che non è facile, anzi è sempre più complicato, trovare un altro individuo indipendente e autocosciente che possa incastrarsi perfettamente con noi. E con le nostre evoluzioni. Che stia al passo con la nostra crescita, senza soffrirne né rimanere indietro.

La fotografia calda e l’abbigliamento retrò dai colori pastello, aiutano ad inscenare un film poetico ed elegante, per quanto ripeto, inconcepibile dal mio cervello, molto più affine alla controparte raziocinante impersonata da Rooney Mara.
Un’opera da una sceneggiatura geniale, ricca di sentimenti disparati, ma non perfetta nel suo essere troppo sdolcinata, lineare e buonista.

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Splendido e poetico / 23 Marzo 2014 in Lei

Ci sono film che per essere apprezzati prescindono dai fattori tecnici, la regia, le interpretazioni, la fotografia, la colonna sonora. Per essere apprezzati devono essere compresi. E questo film non è alla portata di tutti. Badate bene, non sto dicendo che chi non lo comprende non sia in grado di farlo perché non è capace. Sto dicendo che per capire a fondo questo film bisogna aver sviluppato un certo tipo di sensibilità, aver vissuto un certo tipo di vita (senza necessariamente arrivare addirittura al divorzio), avere un carattere ben preciso. Capisco bene che chi non possiede questa sensibilità (ripeto, non lo dico in tono dispregiativo, anzi!) difficilmente potrà captare tutto quello che questo film ha da dire. Non incolpo chi trova questo film noioso perché dal suo punto di vista potrebbe aver ragione. Potrebbe trovare irritanti i personaggi, non comprenderne i comportamenti.
Detto questo, questo film non fa altro che non fa altro che rafforzare la mia decisione/convinzione di limitare l’uso di Facebook, social network e tecnologia in generale.

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Due sole parole / 21 Marzo 2014 in Lei

Vergognosamente irritante.

A volte penso che tanti di voi si sentano grandi critici mettendo votazzi a film del genere… Come se ci fosse un codice: “Questo deve piacere, quest’altro no.”. E questo film ne é la conferma. Mah.

21 Marzo 2014 in Lei

Solitudine ed inconsistenza analizzata attraverso infiniti spazi e parole : conversazioni profonde, colonne sonore ricolme di malinconia ed inquadrature spente , dal sapore amaro-quasi irreali.
Non è fantascienza , è una realtà a cui l’uomo potrebbe avvicinarsi a proprie spese senza neppure il tempo materiale di comprendere cosa stia accadendo -è così, del resto, che Theodore si innamora follemente di ciò che non c’è, non esiste e non potrà mai esistere.
Il mondo attorno a lui, in continua evoluzione, perde contatti con il concreto per lasciarsi andare ad un’astrattismo idealizzato e fatto di tutti i più reconditi desideri.
Un’intimità magica che si viene a creare non solo tra Sam e Theo ma tra noi tutti e la loro storia -un’empatia fuori dal comune che spezza le rigide catene culturali a cui siamo abituati.
Un’esplosione per ogni dettaglio : dall’interpretazione alle voci (Scarlett da lasciare a bocca aperta), dalle riprese alle tonalità, dalla colonna sonora ai silenzi.
Non la solita pellicola sull’amore, non la solita commozione : è in grado di lasciare una voragine.
Un 9 più che meritato.

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Un lavoro onesto / 20 Marzo 2014 in Lei

Direi che rigoroso non è il primo aggettivo che mi viene in mente pensando alla sceneggiatura. Ad essere sincero nemmeno “fantasioso”, è un soggetto che si ripresenta abbastanza regolarmente nella storia della letteratura e del cinema, certo, qui è sviluppato molto bene. Carino il finale, ma in fondo è un finale che si adeguerebbe bene ad un film di pura fantascienza o fantasy.
Insomma, un buon prodotto, ma lontano dal capolavoro.

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19 Marzo 2014 in Lei

Una pellicola meravigliosa. Straniante e al contempo profondamente commuovente, capace di creare impensabili empatie e di rompere il muro della nostra incredulità più e più volte, spalancandoci le porte verso una riflessione dolce – amara sull’amore e sulla natura umana.
Questo è uno di quei film in cui l’autore, che è qui anche regista, si può dire che abbia lasciato un segno profondo, aiutato anche da un Joaquin Phoenix in stato di grazia.
Jonze immagina l’estrema beffa della tecnologia sull’uomo, ammaliato dalle infinite possibilità di un progresso che tocca la sua solitudine e che diventa pericoloso nel momento in cui tende ad un’umana infinità e poi, dallo stesso, ferito, straziato.
Ma l’autore si spinge oltre, portandoci a riflettere sull’amore e sulla natura umana.
Amore inteso, nella sua più profonda esternazione, come sentimento che non snatura, che ci avviluppa accettando la nostra unicità, senza tentare di cambiarci. E questo al di là di qualsiasi ulteriore connotazione personale.
La nostra natura è limitata sebbene aneli all’infinito. Siamo esseri materialmente finiti ma dotati di un’anima che non conosce confini e per questo siamo spinti verso ciò che è privo di limiti. Ma questa nostra parziale finitezza è anche la misura di ciò che il nostro cuore può realmente sopportare o gestire.
L’amore va al di là delle nostre reciproche differenze, ma non dobbiamo mai rinnegare la nostra natura, la nostra umanità.
Fantastica la sceneggiatura, non a caso premiata con l’Oscar, e davvero minuziosa la regia, attenta ai dettagli e a cogliere e valorizzare le molteplici sfumature espressive di Phoenix, sulle cui “ali” il film decolla, sollevando letteralmente lo spettatore da terra.
Un film di grande impatto ed atmosfera, davvero unico e, per quanto mi riguarda, mai lento o dispersivo.
Lo consiglio, è un’esperienza visiva prima ancora che una pellicola di grandissimo pregio.

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“Lei” e “Noi” / 18 Marzo 2014 in Lei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ho avuto la fortuna di poter ammirare quest’opera in lingua originale al cinema ed è stata una delle poche volte in cui sono uscito dalla sala totalmente soddisfatto (merito anche della straordinaria interpretazione vocale di Scarlett Johansson).
Questo film continua a suscitarmi riflessioni anche a distanza di giorni dalla sua visione a causa della molteplicità dei temi trattati, ma soprattutto a causa del modo in cui si trattano.
Spike Jonze ci trasporta in un futuro che ci sembra veramente vicino al mondo attuale, in cui gli uomini fanno davvero di tutto tramite la tecnologia.

Quando Samantha (Scarlett Johansson), essere esterno al nostro mondo fisico, comincia a fare domande a Theodore (Joaquin Phoenix) sull’amore, su cosa vuol dire condividere la vita con una persona, o cosa vuol dire perderla, lei si rende conto che non è in grado di capire queste cose perché non fanno parte della sua “programmazione”.
Ma sono cose che anche noi esseri umani siamo in grado di comprendere?
Ecco a cosa ci mette davanti “Lei”, ci mette davanti a noi stessi.
Ci sono molte cose che noi diamo per scontate o che non consideriamo nemmeno, ma quando un essere lontano dal nostro modo di pensare ci chiede di guardare nel nostro mondo questo ci crea disagio, è come se avessimo paura di esplorare noi stessi.

Il film esplora anche la potenza dell’amore, che va al di là del mondo fisico ed è in grado di trasformare le vite di tutti.
L’amore tra Samantha e Theodore a un certo punto naufraga non perché Samantha non possiede un corpo, ma più che altro perché Samantha non può avere un solo posto in cui stare.
Samantha all’inizio è costretta a non poter stare da nessuna parte, mentre successivamente, con l’aggiornamento del suo sistema, diventa capace di stare in innumerevoli posti diversi e di amare una quantità indefinita di uomini oltre Theodore.
La fedeltà e la fiducia sono le regole universali dell’amore, sia che questo sia tra due esseri umani o tra un essere umano e un sistema operativo.

In poche parole “Lei” è un film per chi vuole guardarsi dentro, arriva forte come un maremoto e scuote l’animo. Non so voi, ma penso che avrò in mente questo capolavoro per il resto della mia vita, complici anche una fotografia e una costruzione degli ambienti molto curate.

P.S: Una ulteriore nota di attenzione va data anche alla colonna sonora firmata dagli Arcade Fire che risulta perfetta e assolutamente in linea con l’atmosfera del film. L’unico pezzo cantato, “The Moon Song”, è anch’esso una piccola perla che rende questo film uno di quelli da vedere almeno una volta nella propria vita se la si vuole arricchire.

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L’amore, la solitudine, il distacco…. / 17 Marzo 2014 in Lei

Questo film sicuramente spaccherà in due i giudizi, per qualcuno capolavoro intenso e per altri opera soporifera di mente leggermente instabile, ci sta tutto e il contrario di tutto.
A me il film è piaciuto tantissimo, in fondo sono un romanticone, ed essendo anche un ex informatico, ho vissuto dagli albori la nascita e lo sviluppo della social-informatica, (amori e incontri compresi) quindi… Trovo il film estremamente realista, anche se proiettato in un futuro prossimo, pochi effetti speciali, e quasi tutte tecnologie esistenti (sviluppate per ora in prototipi credo). Trovo adorabile l’interpretazione di Theodore, e da brivido come lo pronuncia Samantha (Sam) Scarlett…. anche i vari flash back sono inseriti con maestria e regalano una visione avvolgente, fluida, descrivendo al meglio l’intimità ed il vulcano di emozioni che attraversano il nostro amabile Theodore. Complimenti a Jonze per come riesce a chiudere l’opera, facile sarebbe stato farsi prendere la mano e scartare da una parte o dall’altra, invece il regista incornicia la sua opera con un finale toccante, che ci riporta all’umanità ed alla realtà dei sentimenti veri,
per sublimarli nel mito a dispetto del tempo, della morte o del distacco….

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8
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Il

13 Marzo 2014 in Lei

Raro esempio di Cinema che può essere fruito mediante l’utilizzo di un unico senso: l’udito!

9 Marzo 2014 in Lei

Meraviglioso, durante la visione proverete un continuo sali-scendi dalle montagne russe dell’amore, il tutto condito con una colonna sonora superba. Alla fine mi sono sciolta in un bel pianto liberatorio. Ps: Ma lo daremo prima o poi un Oscar a questo Phoenix? Dai Academy.

Mamma mia.. / 5 Marzo 2014 in Lei

…che film davvero bello ho appena visto. Con i sottotitoli ovviamente anche se non mi dispiacerebbe, per curiosità, rivederlo in italiano. Una cosa veramente stupenda. Soprattutto per uno come me che ha una relazione a distanza nata proprio via internet. Incredibile come si riesce a trasmettere sentimenti, se essi sono veri, anche solo parlando l’uni con gli altri. Questa è una pellicola che parla d’amore, amore vero, non importa davvero con chi come quando. C’è il sentimento e tanto basta.
La voce di Scarlett mi piace tantissimo e credo che Phoenix sia perfetto, davvero bravo, riesce a trasmettere i vari stadi del comportamento umano durante l’innamoramento. La goffagine, la passione, il sentirsi coinvolti, la felicità, la leggerezza che avviene quando senti che ti sei innamorato.
Un film dolcissimo, mi è piaciuto tutto dall’inizio alla fine, l’unica cosa che mi ha lasciato perplesso ma giusto questa è stata la scelta di far parlare con altri l’os di Theodore. Ma capisco che magari si voleva ritornare a trasmettere freddezza e interattività al “personaggio” di samantha. Un film che andrebbe visto sicuramente. Consigliatissimo.

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Amore 2.0 / 4 Marzo 2014 in Lei

Bella, davvero bella, messinscena di Spike Jonze che, giocando coi registri (comico, sentimentale, drammatico, surreale), ha messo in piedi una storia il cui senso del paradosso si stempera strada facendo, assumendo toni comprensibili, plausibili perfino, indagando in maniera originale (perdonate l’aggettivo decisamente abusato) tutte le dinamiche tipiche delle relazioni amorose: scoperta, interesse, paura, ecc.

In Her, Jonze usa la cornice sci-fi in maniera affatto scontata, rendendo i dettagli futuribili immediatamente familiari, tratteggiando descrizioni di modus vivendi e di comportamenti umani in maniera da renderli subito riconoscibili alla platea.
Nelle scene ambientate all’interno della metro, per esempio, nessuna persona interagisce con le altre, perché troppo impegnata con i propri dispositivi elettronici e, diciamocelo, non è forse già così?
Nonostante la tipicità di alcune situazioni, quindi, è facile intuire da subito che la collocazione temporale della storia è in un futuro prossimo (ed è fondamentale, a questo proposito, la scelta di collocare i set urbani in una metropoli orientale come Shanghai e a Los Angeles: Blade Runner, distopie a parte, docet): qui, ad una evidente quanto in-credibile ed utopica tranquillità sociale (un certo benessere sembra sottendere la vita dei personaggi, perfino delle comparse, e mai si vede in scena un tutore della legge o si verificano episodi di qualsivoglia grado di violenza), forse sostenuta da una tecnologia che si è imposta a livello egualitario e livellante in tutta la società metropolitana, si alternano dettagli d’ambiente di gusto tipicamente retrofuturibile, elegantemente geek.

Gli arredi, le texture dei materiali, il taglio dei vestiti, i cromatismi dei tessuti e dei rivestimenti e, soprattutto, la grafica digitale che caratterizza i software ed i sistemi operativi usati nel film appartengono ad un preciso target socioculturale, esteticamente intrigante, gradevole agli occhi e sensibilmente innocuo.
Tale, apparentemente, è anche il protagonista, Theodore (un ottimo, come sempre, mi viene da dire, Joaquin Phoenix), contemporaneamente a suo agio ed avulso da un contesto che pare sublimare i sentimenti entro una cornice di pacatezza e comprensione, di accettazione generale, di precisione e di solidità. Non è un caso, a mio parere, che gli edifici di acciaio e vetro, solidi e geometrici e particolarmente ordinati (la vista aerea notturna di L.A. mostra un reticolo urbano apparentemente razionale), accolgano corpi imperfetti e “teneri”, avvolti in abiti morbidi e pratici. Lo spazio costruito riflette l’ordine sociale. L’ordine sociale così costituito assicura totale sicurezza.
Alcuno pare seriamente arrabbiarsi, i dissensi di coppia esplodono esclusivamente all’apice dell’insopportazione reciproca e, nonostante tutto, i rapporti civili vengono comunque mantenuti con calma quasi serafica.
Per quanto buffo e curioso sia l’atteggiamento schivo e un po’ impacciato di Theodore, un suo collega, espansivo e gioioso, non esita a dimostrargli ammirazione e comprensione, anche quando la sua situazione personale sembra rasentare il nonsense (vedi, la gita a quattro con picnic).

Nonostante l’attenzione per i dettagli formali, Her non è solo un esercizio estetico (in cui ho ravvisato piacevoli echi della bella serie tv Black Mirror), ma è un’ottima macchina narrativa che stupisce, seppur senza eclatanti sussulti, per la fluidità con cui tratta la materia del racconto.

Nota negativa su cui non sono riuscita davvero a soprassedere: nella versione italiana, la voce della Ramazzotti è un vero pugno nelle orecchie. Apprezzo questa attrice, ma affidarle questo doppiaggio è stato un passo falso: purtroppo, la cadenza del suo accento è troppo caratteristica e, inoltre, in diverse occasioni, è tanto fuori posto che diverse battute suonano piatte come se stesse leggendo gli ingredienti della Nutella su un’etichetta.

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4 Febbraio 2014 in Lei

perché non c’è 8 e1/2?
poco dopo di Tinder.

Tutto qui? / 28 Gennaio 2014 in Lei

Cos’è che dicevano de “Il curioso caso di Benjamin Button”? Guardatelo al contrario ed è una normalissima storia d’amore. Ecco, in questo, metteteci una donna reale ed avrete una normalissima storia d’amore.
Delusione immensa, da Spike Jonze mi sarei aspettato qualcosa di più “fuori dagli schemi”. Dopo un’ora la voce invadente e onnipresente della Johansson diventa una martellata nei maroni (a sto punto meglio una donna vera!!!). Musiche eccellenti.

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27 Gennaio 2014 in Lei

Her è come la sua colonna sonora: suggestivo, dolce e malinconico. Her è l’opera personale di uno Spike Jonze lirico e ispirato, regista e sceneggiatore di un batuffolo, una specie di film confetto, dove tutto è pastellato e luminoso ( fotografie di questo genere mi mandano in brodo di giuggiole, sempre e comunque) e le persone si mandano lettere personali scritti da altri. In un futuro non lontano, con innegabili elementi vintage ( tanto belle le scenografie), si svolge la storia d’amore tra Theodore e Samantha, sistema operativo intelligente e appassionato. L’elemento fantascientifico di una storia così onestamente sentimentale è giusto il mezzo con cui parlare di un tema banale e già trattato, ossia l’amore e e gli amori finiti, ma utilizzando un punto d’accesso nuovo; Her infatti è riflessivo e non va visto con superficialità. Dietro ogni bellissimo dialogo c’è una riflessione sui rapporti umani, su chi siamo e dove saremo dopo ogni svolta. E’ metafora costante. Theodore fa un certo percorso, soffrendo nel frattempo e a noi spettatori viene mostrata una storia di’amore impossibile eppure tenera, sensuale, sinceramente poetica. Se poi l’attore che si porta sulle spalle tutto il bagaglio emotivo del film ha la bravura di un mostruoso, irriconoscibile e dolcissimo Phoenix, la cui espressività è l’arma perfetta per piangere l’anima, come io stessa ho fatto e se a tutto ciò si somma la OST degli Arcade Fire ( splendida e perfetta per quelle immagini) e Moon Song, di Karen O ( questa donna e Spike sono una garanzia, vedasi “Where the Wild Things Are”) utilizzata in una delle sequenze più belle della pellicola ( con il sorriso di Phoenix che scalda dentro), davvero non c’è che ammirare Jonze e la sua idea, il suo gioiello, senza sapere come tesserne ancora le lodi. Forse citando anche la mia Rooney Mara, l’altro punto di forza: è vero, il suo screen time è breve, ma è tanto bella e incisiva e le sue scene con Joaquin, qualsiasi fosse il mood, sono meravigliose. Quella brevissima con i coni in testa l’ho adorata ed è servita, come altre, per caratterizzare sempre più i personaggi, con accuratezza e sensibilità. Insomma, è una pellicola che vive della sua esemplare sceneggiatura, originale, bella, aggraziata e il finale è uno dei migliori che io abbia mai visto: recitazione, soundtrack, estetica. Tutto racchiuso in 3 minuti bellissimi, commoventi e liberatori.

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Una storia “semplice” / 27 Gennaio 2014 in Lei

In un futuro non troppo lontano, la tecnologia è arrivata a compiere passi da gigante, grazie alla creazione di intelligenze artificiali fortemente avanzate. Esse infatti sono in grado non solo di soddisfare i semplici bisogni umani, ma riescono anche a provare, tramite esperienze dirette e non, emozioni e sentimenti variegati. Il film racconta le vicende di Theodore, uno scrittore di lettere solo e depresso.
Sia sul grande che sul piccolo schermo, l’idea delle macchine sempre più somiglianti all’uomo è stata una tematica trattata più e più volte. Dov’è, però, che prende le distanze questa pellicola di Spike Jonze? Banalmente, nella semplicità della sua narrazione, sperimentale quanto poetica.
Sulla locandina si può leggere “A Spike Jonze Love Story” e questa è infatti la sintesi perfetta del film: il regista vuole raccontare una storia d’amore diversa, una vicenda che nel nostro presente non può essere possibile, ma si diverte ad ipotizzare che in futuro potrebbe succedere davvero. Jonze non fa la morale su quale sia la forma d’amore giusta o sbagliata, perchè appunto a lui interessa soltanto raccontare la sua storia. La sua critica si muove semmai nella condizione dell’uomo, divenuto ormai schiavo della tecnologia moderna e incapace di prendere in mano le redini della sua vita. Non è tanto la macchina ad essere vicina all’uomo ma l’esatto contrario. L’uomo è ormai un essere freddo, coccolato dalla facilità di ottenere conoscenza, comunicazione e bisogni al punto da aver perso quasi tutta la sua condizione umanistica. A testimone di ciò, vi è la figura di Theodore. Il suo lavoro è quello di scrivere lettere su commissione, perché ormai, in questo futuro prossimo, l’uomo ha perso la sua comunicabilità come essere umano ed ha deciso di nascondersi dietro l’ausilio delle macchine.
Un film poetico e delicato, con un Joaquin Phoenix bravissimo a reggere praticamente da solo il peso della scena e una Scarlett Johansson che, seppur limitata a prestare esclusivamente la sua voce, riesce ad essere una presenza egregia nella pellicola.

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