Hammamet

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Hammamet

Nel 1994, travolto da Tangentopoli e dall'inchiesta 'Mani pulite', Bettino Craxi (1934-2000), ex Presidente del Consiglio italiano e Segretario del PSI dal 1976 al 1993, scappa in Tunisia e si rifugia ad Hammamet. Viene dichiarato ufficialmente latitante nel 1995.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Hammamet
Attori principali: Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Omero Antonutti, Renato Carpentieri, Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Alberto Paradossi, Roberto De Francesco, Adolfo Margiotta, Massimo Olcese, Giuseppe Cederna, Claudia Lawrence, Mostra tutti

Regia: Gianni Amelio
Sceneggiatura/Autore: Gianni Amelio, Alberto Taraglio
Colonna sonora: Nicola Piovani
Fotografia: Luan Amelio Ujkaj
Costumi: Maurizio Millenotti
Produttore: Agostino Saccà, Maria Grazia Saccá, Paolo Del Brocco, Roberto Manni
Produzione: Italia
Genere: Drammatico, Storia, Biografico
Durata: 127 minuti

Dove vedere in streaming Hammamet

IL CASO C. / 10 Maggio 2020 in Hammamet

Nutro sentimenti contrastanti. E’ un Craxi verosimile calato in una narrativa di finzione o è il suo spirito reale in un Craxi inventato? Questa incertezza mi ha pregiudicato un po’ tutta la visione e la conseguente opinione che mi sono fatto.

Nel complesso il film fila via liscio senza parti molli di rilievo. La storia tratta gli anni di latitanza (anche se vengono descritti come un esilio) dell’ex premier italiano ad Hammamet (da leggere rigorosamente con inflessione dialettale meridionale).
Quella di non utilizzare nomi reali è sicuramente una scelta autoriale che Amelio compie deliberatamente ma che a lungo andare si rivela un arma a doppio taglio perché si ha la costante sensazione di assistere all’idea che il regista aveva di Craxi. E’ lui ma non è lui…allora a cosa serviva quella somiglianza esasperata di Favino? Intendiamoci…è una soluzione che può piacere, non la discuto…personalmente mi ha tirato un po’ fuori dal film. Ho passato ad analizzare ogni singola scena commentando tra me e me “quello è Craxi che interagisce con personaggi di fantasia.”. Ma allora a che serve questa operazione? Online sono pubblicati i video diari di Craxi che sicuramente sono più genuini di questo film. Più autentici.
Il film in fin dei conti non riesce nemmeno troppo a raccontare il Craxi privato. Le dinamiche famigliari sono abbastanza superficiali e quella più approfondita è il rapporto con la figlia Anita.

Favino è formidabile nel replicare alla perfezione la voce e gli sguardi dell’ex leader socialista. L’attore romano dopo Buscetta si è dato alla clonazione con grandissimi risultati. Aspetto ancora “Luciano Moggi – un eroe italiano”…Pare lo faccia Favino.

Brava Livia Rossi, nella media tutti gli altri ad eccezione di Luca Filippi (un ca**otto ogni volta che compare o apre bocca).

Tecnicamente il film non si discute. Regia pulita, montaggio classico. Fotografia e scenografia sapientemente abbinati.

Un buon film che poteva essere un ottimo film se solo si fosse risolto l’equivoco a monte della rappresentazione fittizia.

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Noiosissimo / 14 Febbraio 2020 in Hammamet

Salvo solo l’immenso Favino, per il resto il film è lento e noioso

Hanno speso tutto per Favino / 19 Gennaio 2020 in Hammamet

Come ha detto sarcasticamente il mio compagno di poltrona, a fine film: “Hanno speso tutto per Favino”.
Severo, ma giusto. Perché, davvero, Hammamet di Amelio sembra aver investito ogni risorsa, formale ed essenziale, nell’interpretazione (invero, impressionante) di Pierfrancesco Favino nel mimetico ruolo di Bettino Craxi. L’attore è Craxi nei gesti, anche quelli minimi, nelle pause e, incredibilmente, nella voce. Sotto l’impegnativo trucco prostetico e, al di là dello studio accurato sul personaggio, Favino è molto visibile, riconoscibile, e, anche per questo, la sua prova artistica è davvero insuperabile. Ha reso l’ex leader del PSI tridimensionale, proponendo allo spettatore una versione rediviva di Craxi, con tutta la sua ruvidezza e la sua statura, fisica e politica.

Per il tono di voce, per la postura, per la competenza culturale e la propensione all’aforisma, al motto, per la capacità di manovrare con sapienza l’oliata macchina politica, partitica, finanziaria e tangentizia, per la machiavellica propensione a giustificare il malaffare con le necessità di partito, Craxi era un vero leader, un puro condottiero della Prima Repubblica. E se c’è un merito particolare che riconosco a questo film di Amelio, a mio parere imperfetto ed esageratamente simbolico nella sua rappresentazione dei fatti a favore di una ricostruzione quasi metafisica, trascendente, della Storia, è la capacità di rendere palpabile la condizione della latitanza craxiana, una gabbia a cielo aperto di cui Craxi sembra patire i confini come una fiera (ferita) in cattività.
Efficace anche la sequenza con Renato Carpentieri, il nemico-amico dell’opposizione con cui Craxi snocciola i principi utilitaristici del sistema di finanziamento ai partiti e si confronta sulle vicende di Tangentopoli (evento mai nominato esplicitamente) e sul disfacimento dello status quo.

In questo racconto, nessuno è univocamente qualcuno e la cosa non mi è piaciuta. Pure Craxi, riconoscibile e incontrovertibile come nessun altro, qui, non ha un nome certo: per tutti, è Il Presidente.
A parte la figlia Anita (ma la vera figlia di Craxi non si chiama così), il personaggio interpretato da Cederna (Vincenzo, pare riferito a Balzamo, che, però, a dispetto di quanto accade nel film, non è morto suicida) e al figlio di lui, parenti e amici non hanno un’identità, un nome preciso con cui indicarli. Perché? A che pro? Fatico davvero a comprendere questa scelta narrativa, perché non ravvedo nel film una vera metafora. Pure, ne convengo, non è una scelta completamente estranea ad altri film, come il recente Loro (2018) di Paolo Sorrentino, per cui, all’epoca, non ho battuto ciglio perché, ai fini narrativi complessivi, mi era parsa più “utile” e “sensata”.

Il simbolismo del film di Amelio, poi, non mi ha convinta (vedi, l’insistito parallelo con i soggiorni e gli ultimi mesi di vita di Garibaldi a Caprera: ma, in primis, Garibaldi non era latitante, sulla sua isola) e il ruolo del fragile Fausto mi è sembrato delineato in maniera inconsistente come l’interpretazione dell’attore a cui è stato affidato (Luca Filippi).
Ho letto un commento al film di Enrico Magrelli in cui il critico ravvisa l’esistenza di un filo conduttore tra il primo lungometraggio di Amelio (Colpire al cuore, 1982, tra i miei preferiti di Amelio visti finora), che parlava di lotta armata e generazioni senza padri, e questo ultimo lavoro, proprio grazie al personaggio di Fausto. Là e qui, il figlio “orfano” si chiama così e, in entrambi i casi, si tratta di un giovane alla ricerca di un’identità legata e -eppure- sconnessa (d)alla realtà sociale e politica contemporanea. Posto che esista questo leitmotiv, quasi non ritrovo la stessa felice mano di Amelio di allora, la stessa lucidità, insomma, la stessa efficacia nell’uso metaforico del personaggio e dei temi generali: nel (possibile, perché non so se fosse questo il suo scopo) tentativo di mostrare la genesi del caos sociopolitico italiano attuale, conseguito al (necessario) tentativo di smantellamento di un sistema corrotto, mi pare che Amelio manchi l’obiettivo, limitandosi, a conti fatti, a mostrare il tenace attaccamento di un uomo a un ideale (e a un interesse) in forma di tragedia greca.
Il che, di per se, non sarebbe un problema, se non fosse che, curiosa di vedere come un autore attento come Amelio avrebbe trattato una materia sì scottante, forse, mi aspettavo meno docilità nei confronti del soggetto. Insomma, senza Favino che fa Craxi, cosa sarebbe stato di questo film?

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